Disorientati e a disagio: così il lungo isolamento manda in crisi i ragazzi

di Magda Biglia
Per i giovani sono mesi molto complicati
Per i giovani sono mesi molto complicati
Per i giovani sono mesi molto complicati
Per i giovani sono mesi molto complicati

«L’isolamento mette a rischio la salute mentale di bambini e ragazzi, crea ansia, irritabilità, insonnia; può portare, nei casi estremi, a fenomeni di autolesionismo o di aggressività». L’allarme è stato lanciato da Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma e ordinario all’Università Cattolica della capitale. Più pesante il monitog del Regina Margherita di Torino, dove i ricoveri per tentato suicidio di giovanissimi sono passati dai 7 del 2009, ai 35 sono stati nel 2020, mentre nel day hospital psichiatrico la pulsione del gesto estremo è passata dal 10 all’80 per cento. «A BRESCIA non abbiamo ancora statistiche precise, gli studi sono in corso assieme ad altre università e a grandi ospedali in allerta sul fenomeno, ma confermiamo il trend denunciato dai colleghi con cui lavoriamo in rete. Constatiamo, in questi mesi difficili, una grande sofferenza e un aumento delle patologie psichiatriche, degli episodi di autolesionismo, dei disturbi alimentari più nelle femmine, di aggressività e violenza, più nei maschi» afferma Elisa Fazzi, ordinario alla Statale e direttore dell’Unità operativa di Neuropsichiatria infantile dell’Asst Spedali Civili, una delle più grandi d’Italia, con tutta la filiera a partire dall’emergenza, con 76 mila prestazioni ambulatoriali l’anno scorso. La tendenza non risparmia nemmeno gli adulti. «Registriamo in questa seconda ondata un’impennata del 20 per cento delle forme di disagio mentale, ansia, depressione, panico, non solo in chi è stato colpito dalla malattia o dalla malattia di un parente, ma comunque parecchio nei sanitari e in persone già fragili. Più fra le donne, già più soggette allo stress oltre che più disponibili a chiedere aiuto. Il sistema per fortuna sta rispondendo bene», riferisce Antonio Vita, ordinario di Psichiatria e direttore del dipartimento di Salute mentale e delle Dipendenze degli Spedali Civili. ALLA DENUNCIA si aggiungono anche gli psicologi. Secondo un’indagine del Cnop, Consiglio nazionale del loro Ordine, consegnata alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, il 63 per cento dei 14-19enni attribuisce alla didattica a distanza noia, fatica, stress. E il 94 per cento dice di sentire molto o abbastanza la mancanza della quotidianità in classe. «Della scuola in presenza ai ragazzi piace la socialità, la possibilità di avere un confronto con gli altri, di frequentare amici e compagni, mentre non apprezzano gli orari rigidi, marginale nota positiva della didattica a distanza. Si registra anche un sensibile calo della fedeltà. L’86 per cento degli intervistati dichiara infatti di aver seguito tutte le lezioni online durante il lockdown primaverile, ma ora la quota scende al 70 per cento. Probabilmente, però, il dato più allarmante è che solo il 2 per cento dei giovani italiani, in questo momento, riferisce di provare gioia o allegria. E’ un malessere psicologico che deriva dall’isolamento e dalla assenza o carenza delle attività educative, ludiche e sportive. LO CONFERMA pure uno studio Unicef di novembre in cui si riporta che un ragazzo su tre ha chiesto un ascolto o un sostegno psicologico nella scuola», spiega il presidente del Cnop, Davide Lazzari. Che sollecita: «È ora fondamentale aiutare le ragazze ed i ragazzi a superare il malessere che si è creato con azioni efficaci e, al contempo, attrezzarci meglio per il futuro, perché la scuola possa valorizzarsi come luogo di crescita psicologica per la vita». Su questo punta l’interesse anche la professoressa Elisa Fazzi. «Molto importante è fare sistema - osserva la docente - , come stiamo facendo con i colleghi italiani e non, e come dobbiamo fare con le istituzioni, con la scuola, con le famiglie; ma servono al nostro settore cenerentola, e così delicato, maggiori risorse, serve un potenziamento dei servizi, come non ci stanchiamo tutti di ripetere. Non dobbiamo essere lasciati soli in questa battaglia che deve partire dall’individuazione dei fattori di rischio precoci, dalla prevenzione, dall’attenzione ai primi segnali, ai cambiamenti comportamentali, cosa peraltro non facile se in mezzo sta solo un video. La prevenzione può trovare spazio negli istituti scolastici che possono fare molto e vanno coinvolti al massimo, come ribadito anche dal garante dell’infanzia, così come contano la famiglia, il contesto ambientale e culturale». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Suggerimenti