È un Paese per vecchi «A metà del secolo avremo un pensionato per ogni lavoratore»

di WILLIAM GEROLDI

¬ L’inverno demografico è il mantra più efficace coniato negli ultimi anni per indicare il lento quanto inarrestabile declino della popolazione del Paese. Una «stagione fredda» la cui temperatura si è ulteriormente abbassata - restando nel campo della metafora - per gli effetti della pandemia che ha stretto l’Italia in una morsa terribile: l’eccesso di mortalità, che nel 2020 ha addirittura abbassato di due anni le aspettative di vita, e l’ulteriore crollo delle nascite, con un ulteriore record negativo, scese sotto quota 400mila nel 2021. Alla condizione demografica italiana Alessandro Rosina, ordinario di demografia all’Università Cattolica di Milano, ha appena dedicato il suo ultimo libro dal titolo immediato: ‘Crisi demografica. Politiche per un paese che ha smesso di crescere’ edito da Vita e Pensiero 2021 che affronta la complessa situazione attraversata dal Paese, tra speranze post Covid e crisi economica innescata dalla guerra in Ucraina. A lui chiediamo un aiuto per provare a immaginare che cosa ci attende. Professor Rosina l’Italia cerca di uscire da oltre due anni di convivenza con la pandemia da Covid 19, l’Istat ha evocato un bilancio da seconda guerra mondiale sul versante dei decessi: che identikit possiamo disegnare del Paese da un punto di vista demografico? L’Italia è già in irreversibile declino demografico dal 2015. Da oltre 60 milioni e 300 mila abitanti è scesa a meno di 59 milioni. Il divario tra nascite e decessi è diventato negativo. Da tempo ha esaurito la sua capacità di crescita endogena. Il saldo naturale negativo tra nascite e decessi è diventato sempre più ampio e non riesce più ad essere compensato nemmeno dalle immigrazioni. La pandemia ha ulteriormente accelerato in questa direzione. Nel 2021 i nuovi nati sono stati meno di 400 mila e i decessi oltre 700 mila. La nostra struttura per età è fatta da sempre più anziani e sempre meno giovani. Guardando al contesto europeo come ne escono le altre nazioni? Tutte sono state in vario modo colpite, ma hanno retto meglio l’impatto rispetto all’Italia. Da un lato, l’Italia è stata il primo paese europeo a dover attuare restrizioni drastiche per il contenimento della diffusione del virus. D’altro lato il quadro demografico era già uno dei più deboli in Europa, quindi le conseguenze si sono fatte sentire maggiormente, soprattutto sui giovani e sulle donne. Su tali due categorie presentiamo i tassi di occupazione più bassi dell’Unione europea e questo rende ancora più deboli e incerti i progetti di vita da costruire. L’Italia presenta attualmente uno dei più bassi tassi di fecondità in Europa, pari a 1,25 figli per donna, molto sotto la media di 2 figli che consente un equilibrio tra generazioni. L’Italia da diversi anni registra comunque un calo costante della popolazione: è di 253mila unità la diminuzione nel 2021, ottavo anno di magra demografica, per dirla con Neodemos che studia con attenzione i fenomeni demografici. Non è evidentemente solo colpa del Covid, quali le ragioni principali di questa deriva? Il calo della popolazione è continuo e rischia di diventare sempre più accentuato. Più che colpa del Covid le cause derivano da una combinazione di carenza di politiche familiari e a favore delle nuove generazioni. Da decenni noi investiamo di meno su questi due ambiti rispetto alle altre economie mature avanzate. Anche i flussi migratori sono rallentati dopo l’impatto della recessione del 2008-13 e poi con la pandemia. Il segno negativo riguarda anche la casella delle nascite: 399mila nati nel 2021, il numero in assoluto più basso nella storia del Paese. Quali buone pratiche andrebbero adottate per provare ad invertire la rotta? A tener particolarmente bassa la fecondità italiana rispetto alle altre economie avanzate sono tre principali nodi. Il primo incide soprattutto sul tempo di arrivo del primo figlio ed è da ricondurre alle difficoltà dei giovani nel conquistare una propria autonomia abitativa dalla famiglia di origine e un ingresso solido nel mondo lavoro. Il secondo nodo critico frena, invece, la progressione oltre il primo figlio ed è legato alle carenze delle politiche di conciliazione: se dopo la nascita del primogenito diventa complicato armonizzare impegno esterno lavorativo e interno alla famiglia, difficilmente si rilancia con la nascita di un secondo e successivi. Il terzo nodo è l’alta esposizione all’impoverimento economico, soprattutto per chi va oltre il secondo figlio. Le misure contenute nel «Family act», appena diventato legge con l’approvazione al Senato, affrontano questi nodi attraverso un rafforzamento delle politiche familiari, di quelle di conciliazione (in particolare con potenziamento dei nidi e dei congedi) e con l’assegno unico per il sostegno economico alle famiglie con figli. Non bastano però le leggi e nemmeno le risorse destinate, è fondamentale ora una realizzazione davvero piena ed efficace. Le proiezioni dell’Istat non fanno intravvedere nulla di buono: lo scenario mediano al 2070 indica una popolazione di 47,5 milioni di abitanti, realistica? Che cosa ne pensa, in che misura dobbiamo preoccuparci? Quando il tasso di fecondità scende e rimane a lungo molto sotto la soglia dei due figli per donna, come avvenuto per l’Italia, non solo diminuisce la popolazione ma si provocano squilibri nella struttura interna che hanno forti ripercussioni negative sul fronte sociale ed economico. In particolare, la persistente denatalità, dopo aver ridotto il numero di bambini e di giovani, sta ora spostando i suoi effetti anche sulla componente attiva che produce ricchezza, finanzia e fa funzionare il sistema sociale. Tutto questo a fronte di una popolazione anziana che continuerà ad aumentare. Secondo le stime dell’OECD pubblicate prima della pandemia, l’Italia è tra i paesi sviluppati che più rischiano di trovarsi a metà di questo secolo con un rapporto uno a uno tra lavoratori e pensionati, uno scenario difficilmente sostenibile dal punto di vista sociale ed economico. Quali le cause di un così forte calo? Una popolazione con persistente bassa natalità va verso un futuro di accentuato invecchiamento. Ma dato che la natalità passata va a ridurre progressivamente la popolazione in età riproduttiva, diventa anche sempre più difficile invertire la tendenza. È la cosiddetta «trappola demografica»: meno nascite passate portano, infatti, a meno potenziali madri oggi e quindi ancor meno nascite domani. Questo meccanismo demografico fa ben capire come le scelte poco lungimiranti del passato possano diventare una trappola che vincola verso il basso il percorso futuro. Per evitare questa trappola serve una combinazione di aumento della natalità, in grado di più che compensare la riduzione della popolazione in età da avere figli, e di gestione positiva dei flussi migratori. L’Italia evidenzia una popolazione sempre più anziana: quali scelte di politica sanitaria e assistenziale andrebbero privilegiate? La sfida da cogliere è quella di migliorare anche la qualità di vita nelle età tradizionalmente anziane, spostando in avanti la fase finale caratterizzata da malattie croniche e non autosufficienza. Va incentivato lo sviluppo di nuove tecnologie abilitanti che migliorano sia la lunga vita attiva che la mobilità e la sicurezza in ambiente domestico nelle età più avanzate. Ma serve anche un miglioramento del sistema sanitario e un rafforzamento dei servizi di assistenza domiciliare integrata per gli anziani più fragili. La domanda di cura nei loro confronti è crescente e rischia di mettere in crisi le reti di solidarietà familiare. L’esperienza stessa della pandemia conferma come la crescente presenza nella popolazione di una componente fragile in età molto avanzata richieda una particolare attenzione. Ha ulteriormente confermato che la salute deve essere intesa come bene comune e ha messo in evidenza come abbassare la guardia possa portare a ricadute negative che riguardano tutti e si estendono oltre la dimensione sanitaria stessa. Cambiano le famiglie: sono sempre più piccole, sempre di più composte da una sola persona, anziana spesso, ma anche madri e padri separati con prole, aumentano le coppie di fatto ed i figli in seno: sembrerebbe insomma entrato in crisi il tradizionale modello della famiglia imperniata sui genitori i cui figli si sposano e questi a loro volta mettono al mondo figli e così via, è così? La famiglia sta attraversando una fase di grande trasformazione, ma questo vale in tutto il mondo occidentale, in modo anche più accentuato che in Italia. Paesi come Francia e Svezia, che presentano un numero medio di figli molto più elevato di quello italiano, mostrano che una fecondità più vicina alla media di due figli per donna è possibile anche nelle società moderne avanzate. Servono però strumenti che riducono rischi e incertezze, assieme a misure che consentono alle scelte positive, desiderate e che generano valore, di giovani e coppie di essere realizzate pienamente con successo. L’occupazione: è giustificato a suo avviso il timore di una contrazione della forza lavoro nell’arco di una decina di anni tale da mettere in difficoltà le imprese? L’Italia presenta uno dei maggiori squilibri al mondo non solo nel rapporto tra giovani e anziani, ma anche all’interno della popolazione attiva. Gli attuali trentenni sono circa un terzo in meno degli attuali cinquantenni e i nuovi nati sono circa un terzo in mendo dei trentenni. Questo significa che nei prossimi decenni assisteremo ad una forte indebolimento quantitativo all’interno della forza lavoro, che rischia di frenare la crescita economica, rendendo insostenibile il peso del debito pubblico, se non rispondiamo con un aumento qualitativo dei percorsi formativi e professionali delle nuove generazioni. Transizione digitale e transizione ecologica in che misura potrebbero costituire una risposta al problema del mercato del lavoro? Si apre una possibile fase di sviluppo che avrà sempre più bisogno del contributo qualificato delle nuove generazioni, con competenze in grado di alimentare la transizione verde e digitale. Il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, mette finalmente in campo risorse che potrebbero aiutare le politiche attive e, in particolare, i centri per l’impiego, a fare un salto di qualità su tutto il territorio italiano. Ma non c’è nulla di automatico e scontato in questi processi, molto dipenderà da come queste misure verranno implementate. L’auspicio è che possano favorire lavoro di qualità, in grado di consentire l’autonomia dalla famiglia di origine per i giovani, la valorizzazione del capitale umano anche femminile, la conciliazione tra impegno professionale e scelte di vita. In questa situazione il ruolo dell’immigrazione quale potrà essere nei prossimi anni? La consistenza delle generazioni che nasceranno dal 2022 in poi e il contributo integrativo che potrà arrivare dall’immigrazione fanno parte del futuro non ancora scritto e che può rendere meno grave il crollo della popolazione attiva. Interessante è in questo senso l’esempio della Germania che, partendo da squilibri peggiori dei nostri, è riuscita a invertire la tendenza proprio con una combinazione di politiche familiari, analoghe al nostro attuale Family act, assieme a un rafforzamento delle politiche migratorie, sia in termini di gestione dei flussi che di integrazione. Tra il 2009 e il 2019 il saldo netto dell’immigrazione straniera è stato in Germania in media di quasi mezzo milione all’anno. Nel contempo la fecondità da valori inferiori a quelli italiani è salita sopra la media europea. E come dovrà cambiare il nostro rapporto con gli immigrati, quali le azioni necessarie? Dobbiamo uscire dalla logica dell’improvvisazione e dell’emergenza e considerare l’immigrazione come parte integrante del nostro modello sociale e di sviluppo. Da un lato si tratta di un fenomeno complesso e delicato, che ha implicazioni economiche, sociali e culturali non facili da gestire e rispetto al quale non ci sono soluzioni scontate. D’altro lato l’Italia, senza gestire positivamente tale fenomeno, rischia di trovarsi con una demografia sempre più fragile e aziende sempre più in difficoltà a coprire i posti che servono per alimentare la ripresa economica e uno sviluppo solido futuro. Va favorita, quindi, un’integrazione attiva che passa attraverso la conoscenza della lingua, l’accesso ai servizi di welfare, l’inclusione lavorativa, la scuola per le seconde generazioni, la cittadinanza e la partecipazione sociale. Sono tutti aspetti su cui è necessario investire maggiormente, anche perché il contributo al prodotto interno lordo attuale della popolazione straniera regolare è maggiore rispetto a quanto ad essi viene destinato in termini di spesa sociale. L’Italia è il Paese dei campanili: ritiene che la popolazione a suo avviso in futuro privilegerà la residenza nelle città o i centri minori continueranno ad esercitare una maggiore attrattività. Per le località di ampiezza media - non grandi città e nemmeno realtà troppo piccole - esistono condizioni favorevoli di attrattività e sviluppo demografico coerenti con le trasformazioni in atto. Possono essere preferite rispetto alle aree metropolitane per la maggior sicurezza in generale, il maggior senso di comunità, le condizioni di benessere relazionale. Ancor più se a questi fattori sociali viene associata la qualità dei servizi di prossimità, il minore inquinamento e un più sano contesto ambientale. Ci sono poi gli aspetti di convenienza legati a più accessibili costi delle abitazioni. Ci sono, infine, le opportunità favorite dal potenziamento delle infrastrutture digitali e dai cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, che rendono sempre meno vincolante la presenza nei grandi centri. La ricerca demografia ci aiuta oggi a leggere e interpretare i cambiamenti avvenuti nel Paese, cercando nello stesso tempo di immaginare in quale direzione si muoverà. Facciamo buon uso di questo strumento? La demografia aiuta a leggere i cambiamenti in atto e ad anticipare gli scenari verso cui stiamo andando. Se utilizziamo queste informazioni possiamo oggi fare scelte che indirizzano verso il futuro auspicato, altrimenti ci si deve rassegnare al futuro che capita. Se vogliamo iniziare una nuova rotta per lo sviluppo del paese che eviti di portarci verso squilibri insostenibili, è bene dotarsi di migliori strumenti di navigazione rispetto al passato. La demografia, in questo senso, è una bussola indispensabile.

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