La didattica online non è una semplice trasposizione di quella in classe, richiede preparazione e una riflessione specifica da parte delle scuole. Cosa che del resto è stata avvertita lo scorso anno dagli insegnanti ai quali sono stati dedicati webinar di ogni tipo. Non è però una questione solo tecnica, è di metodo. Ad avvertire è la pedagogista Simona Ferrari, docente associata di Didattica e coordinatrice del Cremit, Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Informazione e alla Tecnologia dell’ Università Cattolica di Milano. «Non è che la scuola va a casa dello studente con un tot orario da riempire, spostando i contenuti nel nuovo spazio-tempo tout court - spiega -. Il tempo in rete è diverso, richiede modalità diverse per l‘interazione. I docenti sono abituati a programmare ma nessuno ha mai chiesto loro finora un lesson plan, stavolta il lavoro di progettazione è più complesso. In presenza ci sono elementi che aiutano, che consentono di adattare e regolare la relazione. Saper agire sul digitale non è così scontato, ha sue caratteristiche, si possono correre rischi anche non evidenti». Con gli adulti l’utilizzo del web è affermato, ma può basarsi su forme di autoapprendimento che, soprattutto con i più piccoli, non esistono. Non sono ancora in grado, hanno bisogno di un ritorno immediato perché centrati sul presente e in alcuni casi può mancare la motivazione che spinge una persona a seguire corsi online, con obiettivi a medio o persino lungo termine. Inoltre manca, o è più difficile, il confronto con i compagni, essenziale a quell’età; la crescita non è costruzione individuale. Di questo si deve tenere conto con strategie innovative e appropriate, secondo la docente. «UN ESEMPIO: l’errore serve al processo, invece può diventare una valutazione negativa». C’è poi un’importante considerazione a cui, per Ferrari, non si dà abbastanza peso. «Lo schermo è mediatore, impatta, mentre la fisicità, in presa diretta, rende più facile decodificare i messaggi. Ha le sue regole come tutti gli strumenti. Con una mail io posso approfondire un contenuto, con una chat molto meno. E con il video “didattico“? Devo domandarmi questo sul versante disciplinare, mentre, in maniera trasversale, posso sfruttare l’occasione per educare al digitale. I ragazzi, si scopre, non sanno usare e sfruttare positivamente i device, non hanno imparato a pensare alle conseguenze». Insomma la dad può avere risvolti positivi ma studiati. Come ha avuto il merito di dare un’accelerata all’informatizzazione, può diventare momento di aggiornamento per docenti e studenti. • © RIPRODUZIONE RISERVATA