Martinazzoli, esempio che è sempre attuale «Profeta della politica»

di Eugenio Barboglio
A dieci anni dalla scomparsa, il ricordo di Mino Martinazzoli in una serata che ha riunito un palco prestigioso e una sala ricca di attenti ascoltatoriIl ministro della Giustizia Marta Cartabia ieri sera a Castenedolo SERVIZIO FOTOLIVE/Riccardo BortolottiPierferdinando Casini insieme a Monsignor Francesco Beschi
A dieci anni dalla scomparsa, il ricordo di Mino Martinazzoli in una serata che ha riunito un palco prestigioso e una sala ricca di attenti ascoltatoriIl ministro della Giustizia Marta Cartabia ieri sera a Castenedolo SERVIZIO FOTOLIVE/Riccardo BortolottiPierferdinando Casini insieme a Monsignor Francesco Beschi
A dieci anni dalla scomparsa, il ricordo di Mino Martinazzoli in una serata che ha riunito un palco prestigioso e una sala ricca di attenti ascoltatoriIl ministro della Giustizia Marta Cartabia ieri sera a Castenedolo SERVIZIO FOTOLIVE/Riccardo BortolottiPierferdinando Casini insieme a Monsignor Francesco Beschi
A dieci anni dalla scomparsa, il ricordo di Mino Martinazzoli in una serata che ha riunito un palco prestigioso e una sala ricca di attenti ascoltatoriIl ministro della Giustizia Marta Cartabia ieri sera a Castenedolo SERVIZIO FOTOLIVE/Riccardo BortolottiPierferdinando Casini insieme a Monsignor Francesco Beschi

Un dibattito diviso a metà, tutto nel segno di Mino Martinazzoli, a dieci anni dalla morte. C’è Marta Cartabia, guardasigilli come l’avvocato bresciano, molti anni dopo. Inizia lei la serata, da sola, in piedi davanti a una platea che è quasi una folla a palazzo Fanti-Rovetta di Castenedolo. Poi c’è l’altra metà: il dibattito tra Matteo Renzi, leader di Italia Viva ed ex presidente del Consiglio, Pier Ferdinado Casini, politico di lungo corso, prima ma anche seconda Repubblica, e il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi. Questo secondo momento, moderato da Giovanni Minoli, fa perno sul libro di Renzi, «Controcorrente», e sull’attualità: Afghanistan e riforma della giustizia. Ma è percorso in filigrana dalla figura di Martinazzoli, c’è sempre una sua riflessione che parla anche al presente. Cartabia ne incontra lo sguardo ogni mattina, percorrendo il palazzo di via Arenula, un muro coperto dai ritratti dei predecessori. «Non fu mai privo di coraggio, propose visioni del futuro». Visioni e realismo in Martinazzoli: «Uomo di grandi ideali e di piccoli gesti concreti, quelli che fanno andare avanti l’amministrazione dello stato». Ripercorre la stagione di Martinazzoli a capo del ministero della Giustizia, nel clou della lotta alla mafia e al terrorismo. E allora ecco certi protagonisti: «Dalla Chiesa che venne ucciso pochi giorni prima della sua nomina, e il giudice Chinnici, ammazzato qualche giorno dopo che lasciò via Arenula». Evoca figure che popolarono quei giorni: «Rudolph Giuliani che accompagnò Buscetta in Italia «e la giovane magistrata che andava a comprare da mangiare al boss dei due mondi sempre in supermercati diversi per evitare avvelenamenti», papa Giovanni Paolo II che Martinazzoli accompagnò in carcere da Ali Agcha. Quale era il segreto di Martinazzoli, si è chiesta Cartabia? Sta in una frase: «Ho accettato i miei incarichi in modo quasi preterintenzionale». «Era un profeta della politica», chiosa. Giovanni Minoli aspetta che Cartabia si sieda tra il pubblico e fa a Renzi la domanda che avrebbe voluto fare a Cartabia: «Quando finirà la guerra tra politica e magistratura?». «Dipende molto dal nuovo Csm», è la risposta. E dalla riforma Cartabia? Renzi però, gli rinfaccia Minoli, ha firmato il referendum di radicali e Salvini, non ha fiducia nella riforma? «Non risolve tutti i problemi della giustizia. E se ho firmato è perchè voglio che la giustizia esca dalla subalternità al giustizialismo. Ma guai dice a confondere quest’ultimo col garantismo, come fa qualcuno, strumentalmente». C’è stazio per una digressione sull’Afghanistan, e la tesi di Renzi è quella mainstream: «Io sono amico di Biden ma gli americani dovevano andarsene progressivamente, quando avevano garanzie. L’errore è a monte, è a Doha, negli accordi firmati da Trump». Casini non capisce perchè si parli tanto di esercito europeo, «prima viene una politica estera comune, che non c’è». Fa l’esempio della Libia, dove le divisioni hanno consentito che il «giardino di casa diventasse affare di russi e turchi». Casini non nega «di avere avuto tanti dissidi con Martinazzoli, ma oggi non sopporta «quelli che li hanno avuti ma li negano». È Minoli che l’ha messa sulla geopolitica: il contesto internazionale influenzerà la politica italiana? «Successe con la Dc - dice Casini -, morì non per Tangentopoli o per il caso Moro, venne travolta più del Pci dalla fine del mondo diviso». Moro torna nelle immagini di una vecchia intervista dello stesso Minoli a Martinazzoli, chiamato a commentare la lettera definitiva dal carcere delle Brigate rosse a Zaccagnini. Atto d’accusa alla Dc della fermezza. La Dc morì perchè non ebbe pietà? «No non si poteva fare altrimenti, per rispetto dei morti della scorta e di tutti gli altri. Sarebbe stato un marchio di ignominia, la Casta che salvava sè stessa e lasciava morire gli altri». E se c’era uno che metteva al centro l’umanità, quello era Martinazzoli: «Tutta la politica di Martinazzoli può essere ricondotta all’esperienza religiosa - dice monsignor Beschi - Non faceva della fede una bandiera, ma la politica era un’obbligazione che scaturiva dalla fede». •.

Suggerimenti