IL CASO

Brescia, il giardino «proibito» in via Marchetti fa sbocciare le polemiche

di Marta Giansanti
Le accuse: «È un accampamento». E la replica: «Non è un fastidio»
IL GIARDINO DELLA DISCORDIA

Se fosse nato nel Nuovo Millennio, forse Rudyard Kipling avrebbe ambientato «Il libro della giungla» a Brescia. E più precisamente in via Marchetti, tra i cortili delle case popolari, a pochi centimetri da una scuola materna e dal comando di Polizia Locale e a due passi dal centro storico. Immersa in una vegetazione (più morta che viva) che ha fatto (ormai da tempo) saltare i nervi a un gran numero di residenti. Ma è un gruppo di signore che ha preso coraggio, ribellandosi come possibile e cercando di risolvere l’annosa questione. Hanno «bussato» diverse volte alle porte delle istituzioni, arrivando fin quasi al cospetto del sindaco Emilio Del Bono (tentativi però andati a vuoto), ma la situazione è sempre rimasta la medesima. Costrette a vivere nella foresta pluviale bresciana, in compagnia di topi e, nel periodo estivo, di veri e propri sciami di zanzare affamate.

Erbacce e piante in ogni dove, piantate all’interno di vecchi secchi e di cassette di plastica, di contenitori trovati qua e là a cui viene risparmiato, come ammesso dal botanico improvvisato, «l’incenerimento nel termovalorizzatore, evitando di inquinare». La tanto odiata idea è venuta a Damiano, un signore di 62 anni (lui dichiara di dimostrarne almeno venti di meno, grazie al suo stile di vita vegano), residente in uno degli appartamenti Aler e pienamente soddisfatto «dell’ossigeno che è riuscito a portare in quella zona fatta solo di asfalto e cemento».

Niente scarpe ai piedi, una bicicletta (anche quella fiorata) come unico mezzo di trasporto e una cassettina di legno come cestino dentro cui mettere tutte le piante trovate in fin di vita: «Le porto qui, me ne prendo cura e una volta resuscitate, le trapianto da un’altra parte», cerca di spiegare alle signore che lo accusano di aver «impestato l’area, di averla trasformata in una discarica, senza rispetto per nessuno». Una decina di arzille signore, infuriate prima di tutto con l’Aler, per averle abbandonate: «Quando sono arrivata qui, nei primi anni del 2000 - racconta una di loro - c’erano cortili stupendi, con giardini pieni di bellissime rose, addirittura venivano gli sposi novelli a farsi fotografare. Ora è un posto dimenticato: gli irrigatori sono rotti da anni e nessuno viene a controllare in quale situazione siamo».

Accusano Damiano di aver concorso alla rovina di una zona di dominio pubblico: «Se lo facesse con gusto non sarebbe un problema, ma qui è tutt’altro che bello: spesso riempie il cortile di ombrelli per fare ombra alle piante o mette i fichi a seccare sopra le tettoie, stende i vestiti ad asciugare in cortile, sembra un accampamento nomadi. Se qualcuno viene a tagliare l’erba, viene cacciato: ormai è diventato il padrone, fa quello che vuole. Siamo stanche di andare avanti così». Qualche anno fa, le lamentele avevano sortito gli effetti sperati, ma la tenacia di Damiano si è dimostrata oltremodo proverbiale: «Un addetto del Comune è venuto qui e ha portato via tutto ma alle tre di notte avevo già risistemato ogni cosa al proprio posto», racconta il 62enne sorridendo. «Dovreste ringraziarmi per l’aria buona che vi faccio respirare e dovreste sorridere un po’ di più - apostrofa le sue accusatrici -. Non capisco il motivo per cui vi dia fastidio la natura e questo verde».•.

Suggerimenti