IL FOCUS

Scuola e giovani violenti: negli istituti bresciani cresce l’apprensione

di Magda Biglia
Il mondo dell’istruzione si interroga dopo i recenti episodi di disagio. Docenti e dirigenti preoccupati: «Il comportamento è peggiorato, Molti ragazzi sembrano abbandonati. E il Covid ha acuito le difficoltà»
Docenti e dirigenti preoccupati: «Molti ragazzi sembrano abbandonati. E il Covid ha acuito le difficoltà»
Docenti e dirigenti preoccupati: «Molti ragazzi sembrano abbandonati. E il Covid ha acuito le difficoltà»
Docenti e dirigenti preoccupati: «Molti ragazzi sembrano abbandonati. E il Covid ha acuito le difficoltà»
Docenti e dirigenti preoccupati: «Molti ragazzi sembrano abbandonati. E il Covid ha acuito le difficoltà»

Sono sempre più frequenti nelle cronache nazionali gli episodi che segnalano un trasferimento a scuola del disagio giovanile, come non poteva del resto non accadere, ma che mettono il mondo scolastico di fronte a un problema. Nuovo o sempre esistito, solamente enfatizzato? Frutto solo di quello che ormai è diventato il colpevole di tutti i mali, il Covid con le relative misure restrittive? 
Brescia non è zona da prima linea. Questioni di droga e di furti non sono mancate, sono state prese le contromisure del caso, con i cani della polizia a visitare spesso gli istituti, con zainetti e giacche non più lasciati incustoditi nei corridoi. Che cosa sta allora cambiando e preoccupa
Gli esperti dibattono, i pareri sulle cause sono discordi fra gli addetti ai lavori, tuttavia è generale la constatazione di un clima che talvolta si arroventa, di relazioni fra i ragazzi e con gli insegnanti che risentono delle frizioni sociali di un periodo non facile.

I pareri di molti dirigenti delle scuole bresciane

«Insegno da molti anni e trovo che ci sia un peggioramento del comportamento scolastico in genere, spesso border line, anche verso i docenti. Sono tanti i ragazzi che paiono abbandonati, privi di regole personali, disinformati su tutto. Credo manchino loro i rapporti nella famiglia, non mangiano più assieme e non si parlano, la sera escono sempre fino a tardi. Senza dire dell’aumento di certificazioni di difficoltà nell’apprendimento, dell’aumento degli attacchi di panico. I lockdown hanno, secondo me, solo peggiorato una situazione che si sta degradando e che va affrontata da una scuola non sola. Lasciano il tempo che trovano le punizioni classiche, le note, le sospensioni, anche se capire che a un’azione risponde una reazione è necessario», afferma Carla Filippini docente al Golgi
E’ dello stesso parere Anna Maria Gandolfi, direttrice della Scuola Bottega. «Abbiamo espulso un ragazzo per azioni violente all’esterno ma documentate da un video, però non è questa la soluzione che lo salverà. Ha sedici anni, smetterà di frequentare e che cosa farà?», racconta. 
Gandolfi fa la direttrice sceriffo: una volta è salita sul pullman dove degli adulti, saliti, minacciavano uno studente, poi chiamando la polizia; un’altra ha «fatto correre un parente che le ha detto “zitta donna”». 
«Giro nell’istituto e fuori, tengo sotto controllo, affronto di petto gli accadimenti, ritiro ogni giorno tutti cellulari. Il controllo ha dato risultati. Così come dà risultati però lavorare sulle cause dei singoli, coinvolgerli in progetti, in uscite, in stage. Quando sono fuori sono meno stressati che in un’aula con 27, 28 alunni, riescono meglio a essere stessi. È vero che soprattutto i quindicenni e sedicenni sono diversi da prima, si mettono molto le mani addosso, anche per gioco, vedo i litigi come prassi normale, e basta poco per accendere la miccia», riferisce. 
Per Massimo Pesenti, professore del De André, tutto è da addebitare al Covid, «le prime e le seconde non sono scolarizzate, sono molte le difficoltà».
Il nodo è serio e andrebbe approfondito per Gregorio Musumeci, insegnante del Pastori. «Si ripercuote nella scuola l’aggressività dell’intera società, delle riunioni di condominio, delle discussioni al bar. I ragazzi hanno solo esempi negativi, dalle piccole cose fino alla guerra. Così tutto diventa usuale, nella norma, non c’è presa di coscienza reale», dice. Che «non si rendono conto, addirittura si filmano e si postano, e forse era così anche prima solo con meno risonanza» lo pensa pure Sonia Trovato docente al Mantegna. Una bella soluzione «sarebbero le classi piccole come abbiamo qui» aggiunge. 
Non di aggressività ma di grande fragilità parla Massimo Medaglia dalla palestra del Leonardo. «Crisi di panico, disturbi alimentari, difficoltà di apprendimento, soprattutto se la fragilità è di tutta la famiglia».
Famiglia chiamata in causa da Simonetta Tebaldini preside dell’Iis Castelli, «genitori che difendono sempre i figli di fronte agli addebiti, dando addosso ai docenti», e di «delegittimazione sociale del ruolo educativo della scuola che non può certo dare buoni risultati».
A proposito di buoni esempi mancanti Beatrice Pedace, che insegna al Tartaglia, punta il dito contro «il grave pericolo che ogni giorno si corre con le auto dei genitori che ingorgano il parcheggio in comune con l’Abba, in seconda, terza fila con i ragazzi che corrono in mezzo». «A nulla sono serviti i divieti, gli appelli a polizia e prefettura, il caos permane finché non accadrà qualcosa», lamenta. 

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