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Siccità, l’agricoltura paga un conto pesante: danni per 400 milioni

di Claudio Andrizzi
Campi distrutti dalla siccità: per l’agricoltura un vero disastro
Campi distrutti dalla siccità: per l’agricoltura un vero disastro
Campi distrutti dalla siccità: per l’agricoltura un vero disastro
Campi distrutti dalla siccità: per l’agricoltura un vero disastro

La siccità presenta un conto salato all’agricoltura bresciana: secondo Coldiretti Brescia il danno causato al comparto dalla durissima stagione 2022, segnata da crisi idrica e temperature bollenti, sarebbe stimabile fin d’ora fra i 350 e i 400 milioni di euro, ovvero circa il 30% della produzione lorda vendibile 2021, pari a 1,310 miliardi. La forbice è legata principalmente all’incognita latte, locomotiva del settore primario provinciale con un valore superiore ai 600 milioni, in quanto notoriamente con il forte le caldo le bovine riducono le produzioni: un fenomeno fisiologico, che però quest’anno sta durando ormai dai primi di maggio con l’esplosione prematura di un’estate rovente. Gli allevatori cercano di contrastare gli effetti negativi con vari accorgimenti tipo le doccette, che però significano anche aumento di costi energetici in un quadro di costi di produzione ormai fuori controllo.

Da qui il punto di domanda sull’ammanco produttivo dell’«oro bianco» delle stalle bresciane, in una provincia che come noto è capofila a livello nazionale con una produzione di latte vicina ai 16 milioni di quintali, pari al 13% del totale nazionale. «Ma la siccità interessa comunque soprattutto le coltivazioni in pieno campo – spiega Mauro Belloli, vicedirettore Coldiretti Brescia -. Notevole soprattutto le dèbacle sui mais di primo raccolto, con perdite del 30/40% e punte del 100% nelle situazioni limite dove non si è potuto irrigare: in mancanza d’acqua molti hanno dovuto anticipare il raccolto destinando a trinciato, utile soprattutto per i bovini, quello che pensavano di raccogliere come granella, che invece è necessaria per l’alimentazione dei suini. Non mancano in verità zone dove i pozzi di soccorso sono riusciti ad integrare le mancate forniture dei Consorzi, e dove forse si riuscirà a portare le piante fino a maturazione per la granella, ma sarà tutto molto più difficile».

Trinciare insomma è diventata una scelta obbligata per non perdere tutto: mancheranno inoltre i mais di seconda semina, quelli che di solito vengono messi in campo a metà giugno dopo i cereali autunno-vernini (per i quali si stimano cali del 30%). Vista la situazione molti hanno rinunciato a seminare, e chi lo ha fatto non ha mai visto nascere le piante perché la poca acqua è stata riservata ovviamente ai primi raccolti: «Le campagne oggi si presentano come ai primi di settembre in un anno normale: mentre ci attendiamo cali anche per la vendemmia e l’olivicoltura, dove il fenomeno della cascola purtroppo si è ripresentato facendo cadere a terra gran parte delle olive pronte a maturare – dice Belloli-. C’è un clima di forte rassegnazione: si cerca di portare a casa quello che si può, poi si vedrà. Senza pensare all’autunno, quando molte aziende, soprattutto allevamenti, a causa della mancata produzione dovranno andare ad approvigionarsi di cereali sul mercato in una situazione che a causa del conflitto russo-ucraino permane di forte turbolenza».

Grande preoccupazione viene espressa anche da Confagricoltura Brescia, che stima una perdita media pari al 20%, trasversale a tutti i settori ma con una situazione a macchia di leopardo, con forti perdite sul mais sia di primo che di secondo raccolto, preoccupazione per le tossine nel mais da granella che si potrebbero sviluppare in situazioni siccitose pesanti, perdite fra il 10-20% (ma con punte fino al 30%) nei vigneti pur in un quadro di ottima qualità delle uve. «Quest’anno abbiamo dovuto tamponare ogni cosa – afferma il presidente Giovanni Garbelli -. Anche se i conti si faranno a fine anno, le perdite produttive appaiono già pesanti, ma ben altra cosa sono quelle economiche: costi delle materie prime, dell’energia, dei materiali sono diventati impossibili, senza contare il problema della mancanza di manodopera. Ora è assolutamente necessario sistemare i malfunzionamenti del sistema, ciò che davvero non va e non è più sostenibile, soprattutto nella gestione irrigua. Chiediamo un tavolo serio con tutti gli attori, per iniziare a ragionare su azioni concrete, su un vero e proprio patto di territorio per affrontare i cambiamenti climatici nel nostro settore».•.

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