COVID

Terapie intensive, «ora i casi più gravi sono non vaccinati»

di Marta Giansanti
La campagna vaccinale ha ridotto i ricoveri dei malati più gravi
La campagna vaccinale ha ridotto i ricoveri dei malati più gravi
La campagna vaccinale ha ridotto i ricoveri dei malati più gravi
La campagna vaccinale ha ridotto i ricoveri dei malati più gravi

Esattamente un anno fa, il 4 novembre del 2020, l’ex premier Giuseppe Conte annunciava un’Italia divisa in zone. La Lombardia era di nuovo il territorio più colpito dall'emergenza sanitaria e condannata, dopo due giorni, a tingersi di rosso: il colore della criticità per numero di contagi, per pressione sugli ospedali e soggetta alle maggiori restrizioni. Il 4 novembre dello scorso anno in tutta la regione si contavano quasi 8mila positivi, un centinaio di morti da Covid e una situazione disperata negli ospedali. Un dato su tutti: le persone ricoverate in Terapia Intensiva al Civile erano 30, e oggi sono solo 3. Merito di una campagna vaccinale che ha fatto il suo dovere e che si rispecchia in numeri che non necessitano di grandi spiegazioni: dall’inizio della «crisi» il Civile ha accolto 350 pazienti in TI, ma sono solo 44 quelli registrati dallo scorso giugno, in un ospedale passato dall’avere pochissime decine di letti (la permanenza media in TI è di 2-3 settimane), a dover raggiungere quota 90 per far fronte a ciò che stava accadendo. Ora sono 8 i posti dedicati al Covid, «e i casi più gravi sono sempre persone non sottoposte a vaccinazione», tiene a specificare Frank Rasulo, responsabile Terapie Intensive Covid agli Spedali Civili e direttore della scuola di specializzazione di Anestesia e Rianimazione dell’Università degli Studi di Brescia. A fine giugno il 95% degli ingressi in TI non erano immunizzati, il 5% invece era rappresentato da pazienti troppo «fragili», da persone con una sola dose oppure che avevano completato il ciclo ma da pochi giorni. Oggi il quadro è cambiato ma senza enormi stravolgimenti: il 70% non sono immunizzati. I vaccinati sono il 30%, soprattutto anziani, la maggior parte dei quali presentano comorbidità gravi. Motivo? La profilassi risale a molti mesi fa e il siero sta perdendo di efficacia: «Per questo - sottolinea il dottore - la terza dose va fatta, specialmente dai 50 anni. Sono contento che il Governo voglia estenderla agli over 50 entro fine anno. Perché la persona immunizzata ha meno probabilità di essere ricoverata, ancor meno in terapia intensiva: da noi non è mai successo che un paziente vaccinato senza importanti comorbidità morisse», sottolinea Rasulo mentre ripercorre le diverse fasi della pandemia: da quel 20 febbraio con il primo ingresso Covid in una terapia intensiva lombarda. «Dopo neanche un mese in tutta la regione erano oltre 1.600». Drammi che si sovrapponevano: la mancanza di posti letto, la conta disperata dei contagi e quella ancora più tragica delle vittime, ma soprattutto «l'ignoto». «Non sapevamo come agire, a cosa stavamo andando incontro - ricorda -, l’incognito era ciò che più ci spaventava, il non sapere come aggredire il virus». La prima intuizione fu quella di attivare una task force con intensivisti, infettivologi, reumatologi, ematologi: «Una grande equipe per affrontare insieme una patologia non solo infettiva ma anche infiammatoria. Tra i primi, se non proprio il primo centro al mondo, a utilizzare il cortisonico». Il Civile, in quei mesi, era considerato l’ospedale al mondo con il più alto numero di ricoveri Covid: oltre 900. Poi sono arrivate la seconda e la terza ondata con un virus mutato ma le strutture bresciane, insieme ai medici e al personale sanitario, erano pronte a fronteggiare le recrudescenze dell’emergenza che, ripetutamente si sono abbattute su una provincia fortemente colpita e ancora «debilitata». «Si può dire che non abbiamo mai veramente staccato, le varie ondate sono state troppo ravvicinate e persistenti sul territorio: eravamo stanchi fisicamente e psicologicamente. In realtà stiamo ancora pagando le conseguenze di ciò che è stato, ognuno di noi porta dentro di sé ricordi devastanti di un periodo difficile da dimenticare. Ogni giorno andavamo incontro a pazienti che supplicavano il nostro aiuto. Quel che è certo è che abbiamo fatto il possibile, tutto quello che era nelle nostre forze, capacità e conoscenze. L’intero ospedale ha vissuto l’emergenza reggendo all’urto ed ora la situazione è nettamente migliorata». Molte le motivazioni: una maggiore chiarezza e sicurezza nel gestire e sconfiggere il Sars-Cov2, «l’assenza dell’assenza» di posti letto, di altri spazi e risorse, ma soprattutto una campagna di vaccinazione di massa che sta funzionando e che «deve andare avanti».•.

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