L'INTERVISTA

Ugo Ranzetti (Coni): "Sempre avanti sui tempi. E mai le ho dato del tu"

di Alberto Armanini
La pista di atletica di Sanpolino porta il nome di Gabre Gabric dallo scorso mese di settembre
La pista di atletica di Sanpolino porta il nome di Gabre Gabric dallo scorso mese di settembre
La pista di atletica di Sanpolino porta il nome di Gabre Gabric dallo scorso mese di settembre
La pista di atletica di Sanpolino porta il nome di Gabre Gabric dallo scorso mese di settembre

Gli chiedi di lei e Ugo Ranzetti s'illumina. La voce si fa più forte, il volume è squillante ma con sfumature dolci come dolce è il suo ricordo di Gabre Gabric. Allenatore di vaglia, presidente del Coni Provinciale dal 1985 al 2014, laureato in Educazione Sportiva e docente universitario a Scienze Motorie, Ranzetti è il depositario della memoria privata di Gabre Gabric. Un confidente e un amico nello sport e per lo sport: «Credo di aver ricevuto da lei confidenze che nemmeno le figlie hanno avuto», dice. E c'è da credergli.

E allora, professor Ranzetti, ci racconta la «sua» Gabre Gabric?

Volentieri, ma a una condizione.

Quale?

Che la sua figura non sia separata da quella del marito. Perché Gabre Gabric andrebbe sempre citata in coppia con Alessandro Calvesi, con il quale ha vissuto una vita in autentica simbiosi. Ci dica di più. Lui era il tecnico in senso stretto, lei il suo naturale supporto, costantemente impegnata in un'attività instancabile di promozione e immagine. Era attentissima alla comunicazione e alle relazioni, tant'è che per molto tempo era stata anche giornalista.

Ci sta dicendo che era una donna in anticipo sui tempi?

Di più: era avantissimo! Vi cito un aneddoto. Negli anni '50 ci fu un evento in notturna al vecchio stadio di viale Piave. A un certo punto arrivarono gli americani. Era stata lei a portarli. Lei che da ragazza aveva trascorso un periodo negli Stati Uniti. E aveva anche sfilato davanti a Hitler alle Olimpiadi del '36.

Non capita a tutti.

Vero. Ma di quei giorni ricordava solo il lato sportivo. Lo descriveva come un grande evento, bello e importante come tutte le Olimpiadi. Non dava tutta l'enfasi e i significati che oggi attribuiamo noi.

Insomma viveva lo sport nel suo significato più autentico.

Sì ed quello che l'ha tenuta in vita così a lungo. Non è un caso che abbia gareggiato fino a 97 anni.

Che atleta era?

Un'atleta molto dotata in un'epoca in cui lo sport femminile era in formazione. Con un eccesso di modestia diceva di aver fatto le Olimpiadi perché nessuna donna faceva sport. Ma non era vero. Lei conosceva con seria memoria culturale il fatto che allora l'attività femminile era del tutto nascente e allora si sminuiva. Ma aveva delle grandissime doti.

Glielo ha confessato in una delle vostre chiacchierate?

Assolutamente. Di tanto in tanto, alla fine di qualche allenamento, mi chiedeva uno strappo fino a casa. Sapeva bene che io abitavo dall'altra parte della città ma io acconsentivo sempre volentieri. Avevo capito che quando diceva così era perché mi doveva fare una confidenza. Così la assecondavo e le rispondevo: “Certo, signora. Molto volentieri“.

Ma come? Non le dava del tu?

Mai. La accoglievo nella mia vita come una persona di livello e di ambito diverso dal mio.

Cosa vi siete detti l'ultima volta che vi siete visti?

Mi ha fatto un rimprovero. Voleva che diventassi presidente dei veterani dello sport al posto suo. Le promisi che l'avrei fatto se prima fossi riuscito a liberarmi della presidenza del Coni ma purtroppo non ci riuscii. Le chiesi scusa. •. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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