Assalto notturno contro i nomadi: «È odio razziale»

di Mario Pari
Un incendio devastanteIl camper incendiato: dopo aver appiccato il fuoco erano stati esplosi dei colpi di fucile contro gli occupanti che tentavano di mettersi in salvo
Un incendio devastanteIl camper incendiato: dopo aver appiccato il fuoco erano stati esplosi dei colpi di fucile contro gli occupanti che tentavano di mettersi in salvo
Un incendio devastanteIl camper incendiato: dopo aver appiccato il fuoco erano stati esplosi dei colpi di fucile contro gli occupanti che tentavano di mettersi in salvo
Un incendio devastanteIl camper incendiato: dopo aver appiccato il fuoco erano stati esplosi dei colpi di fucile contro gli occupanti che tentavano di mettersi in salvo

Nelle scorse settimane le motivazioni della sentenza, ora l’appello. La vicenda è quella che in primo grado si è conclusa con la condanna a 12 anni in primo grado di Ennio Albiero, considerato responsabile di quanto accaduto a Lonato il 2 gennaio del 2019. Quella notte, secondo i giudici di primo grado Albiero avrebbe dato fuoco a un camper e a una roulotte. Quando uno degli occupanti uscì, venne raggiunto alla spalla da alcuni pallini sparati da un fucile. Tutto ciò sarebbe avvenuto, secondo quanto stabilito in primo grado, con premeditazione, e con finalità di discriminazione e di odio razziale. Ennio Albiero avrebbe apostrofato la vittima, poi assistita legalmente dall’avvocato Vilma Formentini, con la frase «zingaro di merda». Nelle motivazioni della sentenza è scritto che la vicenda risulta «connotata da una costante progressione di eventi, a partire da una ferma avversione per l’etnia rom, ritenuta aprioristicamente responsabile di azioni furtive, per poi passare a minacce rivolte di persona, travalicando ancora in offese colme di rancore, sino alla traduzione in concreto dell’odio e del risentimento, mediante incendio e suo di arma da fuoco contro un componente della famiglia». Il giudice Alberto Pavan scrive inoltre, parlando del comportamento dell’imputato, che «vanno rimarcate l’identità tra gli atti intimidatori prospettati e le condotte poi effettivamente poste in essere, la sovrapponibilità tra offese rivolte ai rom e quelle indirizzate»alla parte offesa «poco prima d’essere attinto dai colpi di arma da fuoco, la perdurante accusa, senza riferimenti a precisi dati spazio temporali, di furto rivolta ai familiari rom» della parte offesa «da parte» dell’imputato e l’uniformità tra il mezzo usato dall’autore delle minacce e quello nella disponibilità «dell’imputato». NELL’APPELLO della sentenza di primo grado, il difensore, avvocato Gianfranco Abate, evidenzia, tra l’altro, che la parte offesa non ha «riconosciuto» l’imputato «nello sparatore. Egli ha operato un’identificazione fotografica solo con riferimento al soggetto che lo aveva minacciato in una precedente e risalente circostanza». C’è poi il tema del cellulare dell’imputato che, spiega il legale, «nei giorni e negli orari d’interesse risultava agganciato alle celle telefoniche del comune di residenza a Padenghe sul Garda». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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