Dal Garda
all’Aconcagua Matteo
ha calato il «tris»

di Nicola Alberti
Per Matteo è la terza delle «Seven Summits» che vuole conquistareLa gioia di Matteo Bertè sulla cima dell’Aconcagua: con quasi 7 mila metri è la  più alta delle Americhe
Per Matteo è la terza delle «Seven Summits» che vuole conquistareLa gioia di Matteo Bertè sulla cima dell’Aconcagua: con quasi 7 mila metri è la più alta delle Americhe
Per Matteo è la terza delle «Seven Summits» che vuole conquistareLa gioia di Matteo Bertè sulla cima dell’Aconcagua: con quasi 7 mila metri è la  più alta delle Americhe
Per Matteo è la terza delle «Seven Summits» che vuole conquistareLa gioia di Matteo Bertè sulla cima dell’Aconcagua: con quasi 7 mila metri è la più alta delle Americhe

«Lassù, a 6.962 metri sulla cima dell’Aconcagua, il 23 gennaio la neve non c’era». Lo racconta Matteo Bertè, 40enne informatico e ottimo alpinista di Bedizzole, da qualche anno trasferito a Padenghe, che ha conquistato anche la terza delle «Seven summits», le montagne più alte dei sette continenti. «Visti da lassù i cambiamenti climatici impressionano ancora di più - racconta - ma quando sei così in alto, oltre a vedere la linea dell’orizzonte non più retta ma curva, ti rendi conto di essere sul tetto del mondo quasi si potessero toccare il cielo e le stelle». Matteo è un apprezzato tecnico informatico della Cameo, ha un fisico atletico che allena tutto l’anno con lunghe «passeggiate» in salita e tanta piscina. È iscritto al Cai di Desenzano, ha un sito zeppo di splendide fotografie (www.matteoberte.it) ed è stato per 19 anni volontario e istruttore del Cosp di Bedizzole, poi volontario della Croce Rossa. È SALITO sulla vetta del monte Aconcagua che con i suoi 6.962 metri è la vetta più alta d’America. Si trova nella catena montuosa delle Ande in Argentina, nella provincia di Mendoza. «Nel team di cui ho fatto parte - spiega Matteo - c’erano due russi (tra cui l’amico Andrei), tre italiani, uno svedese, un francese e un sudafricano: 3 donne e 3 uomini tutti con esperienza alpinistica in alta quota. Una bella squadra per un grande risultato raggiunto insieme, un esempio di collaborazione oltre le bandiere, nel perfetto stile della montagna». Sulla vetta Matteo ha portato alcuni simboli di associazioni a lui, per vari motivi vicine o di cui fa parte. Tra questi quelli del Cai, quello della Croce rossa, dell’Avis, il Pegaso della Polizia locale, e quello dell’elisoccorso di Brescia. Ma in questo periodo della sua vita, senza nulla togliere agli altri, è quello del Cai ad appassionarlo di più. «Le previsioni meteorologiche e una finestra di bel tempo prima di una perturbazione, ci hanno fatto anticipare di un giorno l’attacco alla vetta deciso per il 23 gennaio - racconta -: partiti alle 2 di notte dai 5550 metri di Nido de Condores, alle 14 il gruppo ha raggiunto i 6.962 metri della vetta. Rientrati e crollati nelle tende poco prima delle 20 del giorno stesso, dopo circa 18 ore tra andata e ritorno dalla vetta». «LASSÙ questa volta - rivela Matteo - ho vissuto quello che non mi era mai successo: la mancanza di ossigeno determina una situazione di smarrimento, qualcuno ha delle allucinazioni, allora ci si concentra sulle cose concrete che ti portano alla realtà, perché sbagliare il passo può essere pericoloso: io ho pensato alle date dei compleanni o della mamma e del papà». Insomma lui che con i piedi ben piantati a terra ha toccato per tre volte il cielo. «Il mio progetto 7 Summits - conclude Matteo - annunciato nel 2018 prevedeva di raggiungere ad anni alterni una delle 7 vette, ma in meno di 18 mesi ne ho raggiunte tre: Kilimangiaro (2018), Elbrus (agosto 2019) ed ora Aconcagua (gennaio 2020). E adesso un pò di riposo». •

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