Depuratore del lago di Garda Stretta sul progetto alternativo

di Cinzia Reboni

Stavolta su una cosa sono tutti d’accordo: sei mesi per presentare un progetto alternativo al depuratore del Garda sono troppi. Ieri, nel corso della seduta della Cabina di regia convocata dal ministero dell’Ambiente, è stata espressa «unanime preoccupazione per l’ulteriore slittamento dei tempi di approvazione del progetto depositato da Acque Bresciane, con una forte sollecitazione a procedere celermente al completamento delle valutazioni tecniche e all’avvio del procedimento amministrativo». Ed è stato auspicato che in occasione della prossima Cabina di regia, a metà febbraio, «sia già possibile analizzare gli sviluppi e delle verifiche in corso». L’impianto dovrebbe sorgere nel territorio del Garda così come stabilito dalla mozione approvata all’unanimità dal Consiglio provinciale. «Nel corso dell’incontro sono stati espressi però dubbi sul carattere impositivo del documento del Broletto nei confronti dell’Ufficio d’Ambito - spiega in una nota Ato -, così come sono stati manifestati seri timori in rapporto alle note condizioni delle condotte sublacuali, la cui dismissione è obiettivo condiviso nell’Accordo con il Ministero e motivo di finanziamento statale». Finanziamento non vincolato tuttavia alla location degli impianti. Sul fronte veronese, come era prevedibile, sono state esercitate pressioni ed è stato sottolineato come la mozione della Provincia non abbia «carattere impositivo», il che avrebbe permesso ad Ato - secondo i rappresentanti dei Comuni scaligeri - di non interrompere il procedimento, convocando comunque la Conferenza dei servizi e portando avanti in parallelo una valutazione diversa. ATO INVECE, seguendo l’indirizzo del Broletto, ha chiesto ad Acque Bresciane di verificare un’opzione gardesana - non necessariamente Lonato -, da mettere a confronto con il progetto Gavardo-Montichiari, per capire se ci sono le condizioni economiche, tecniche ed ambientali per «cambiare strada». Una soluzione che aiuterebbe anche a risolvere le ostilità territoriali e a livello istituzionali create dal braccio di ferro tra gli amministratori dell’asta del Chiese e quelli delle sponde gardesane. La partita si gioca ora soprattutto sul lago. É evidente che se anche qui si scatenasse una protesta contro il depuratore tutto si complicherebbe. Nei giorni scorsi la Comunità del Garda, per voce del suo presidente Mariastella Gelmini, ha ribadito che non esiste una soluzione gardesana, e che il depuratore deve essere fatto a Gavardo e Montichiari. Ma il muro contro muro non aiuta a trovare una via d’uscita. L’ipotesi di un impianto sul territorio benacense, infatti, deve essere considerata non soltanto dal Comune che ospiterebbe il depuratore, ma deve essere sostenuta da tutto il territorio. Che, non va dimenticato, nel 2017 si era impegnato - attraverso i Comuni raggruppati dell’Associazione temporanea di scopo Garda Ambiente - a destinare una quota della tassa di soggiorno per concorrere al finanziamento delle opere di collettamento e depurazione del lago di Garda». Calcolatrice alla mano, quell’anno l’imposta di soggiorno aveva portato sulle sponde del Benaco più di cinque milioni di euro. «Spero non si siano dimenticati della “promessa“ - sottolinea Filippo Grumi del Comitato Gaia di Gavardo - e che quando la Gelmini parla di “ristori“ non pensi di ricavarli dai 60 milioni del finanziamento statale». Ieri i sindaci di Montichiari, Gavardo, Prevalle e Muscoline hanno inviato una lettera all’Ato e alla Provincia per chiedere conto del rispetto dei tempi indicati dalla mozione Sarnico. «É stato buttato via più di un mese senza far niente - sottolinea il primo cittadino di Montichiari, Marco Togni -. Condivido i timori del ministero: è ora di tirare fuori dal cilindro il nuovo progetto». •

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