«Noi, infermieri, adesso vogliamo ricominciare»

di Magda Biglia
Un momento della Giornata nella sede dell’Ordine
Un momento della Giornata nella sede dell’Ordine
Un momento della Giornata nella sede dell’Ordine
Un momento della Giornata nella sede dell’Ordine

«Resto e riparto»: questo lo slogan bresciano della Giornata Internazionale delle professioni infermieristiche, fissata al 12 maggio data di nascita di Florence Nightingale, celebrata ieri nella sede di via Metastasio dell’Ordine con una serie di eventi, tra cui la proiezione del film «Io resto» di Michele Aiello, girato agli Spedali Civili per documentare in uno dei luoghi più colpiti il dramma ospedaliero della pandemia, e alcune testimonianze, dal campo di battaglia, precedute dai saluti della presidente Stefania Pace. «Non dimentico quello che è successo, mi fermo a riflettere, per capire, per migliorare e vado avanti, perché la nostra mission è la tutela del cittadino»,dichiara il vice presidente Paolo Boldini. All’insegna della speranza e della volontà, la Giornata serve per guardare avanti, anche se l’era Covid non è ancora archiviata. «Ci sono ancora i reparti Covid, le misure di sicurezza ma vogliamo ripartire con nuova energia. Siamo stufi, qualcosa di amaro dentro rimane, però si ricomincia. Non dimentico, imparo, resto e riparto. Non ci piace essere chiamati eroi ma desideriamo che venga riconosciuta la nostra professionalità, la competenza, vogliamo dare rilievo alla nostra immagine, al nostro lavoro che mette al centro il paziente», ripete il vice presidente. Lo dice anche perché al mattino si sono dovuti rimuovere fuori cartelli di no vax; lo dice perché i giovani vengano invogliati a un mestiere fatto di sacrifici e di rischi ma al servizio della comunità. «Tanto più che adesso con la riforma lombarda- aggiunge- nasce la figura dell’infermiere di famiglia, come c’è quella del medico di famiglia. Un traguardo importante, come gli ospedali di comunità a gestione infermieristica. Nel futuro l’obiettivo è puntato sulla casa, primo luogo di cura. Ci sono già gli infermieri che vanno a casa ed evitano il pronto soccorso. I tre anni di studio post diploma ci stanno tutti, perché i compiti sono sempre più complessi, il numero chiuso non va abolito ma tarato sul fabbisogno». Sono poco lontani dalle spalle i momenti durissimi, quelli in cui bisognava fare scelte difficili, che coinvolgevano l’etica, quelli dello sportello psicologico h24 messo a disposizione dei colleghi che intasavano il telefono dell’Ordine perché non sapevano come muoversi. Boldini e consorte sono due infermieri con tre figli piccoli, non è stato semplice. Lui lavora in una Rsa, strutture particolarmente aggredite, dove dal reparto ah hoc era più arduo uscire. «Non eravamo all’inizio preparati - dice - non avevamo le formazione per questo, perché abbiamo dovuto capovolgere, disgregare l’impostazione mirata alla socialità, allo stare insieme. Per fortuna ci è stata di aiuto l’Unità di crisi a supporto del sistema socio-sanitario». Di quel lungo tempo rimarranno i segni, ma, ribadisce, «dobbiamo riprendere e rilanciare». •.

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