Li facevano lavorare dall’alba al tramonto con una paga da pochi euro l’ora, quasi senza sosta in mezzo ai vigneti a raccogliere l’uva per la vendemmia, costretti pure a pagare cinque euro per il trasporto: a gestire una quindicina di profughi coinvolti nell’ennesima e triste vicenda di sfruttamento erano tre cittadini indiani, due uomini e una donna regolari sul territorio italiano, che avevano costituito una vera e propria società che si occupava di offrire forza lavoro a prezzi modici, fin troppo, a varie aziende vitivinicole del territorio gardesano. UNA STORIA di capolarato smascherata e sgominata dal Commissariato di Polizia di Desenzano, in collaborazione con i carabinieri del Nil, il Nucleo ispettorato del lavoro: i richiedenti asilo sono stati sfruttati lo scorso autunno, da settembre a novembre, prelevati tutte le mattine sulla Provinciale e poi riportati a casa la sera, nel Centro di accoglienza straordinaria che era allestito a Desenzano, in località Pergola tra Rivoltella e San Martino (e che poi è stato chiuso, ma questa è tutta un’altra storia). A far scattare le indagini il sospetto assembramento di richiedenti asilo che appunto tutte le mattine da settembre si radunavano sulla Provinciale, non lontano dal Centro di accoglienza, e poi venivano caricati sui furgoni dai «caporali», e trasportati nelle campagne dove poi lavoravano alla vendemmia. I lavoratori, scrive il Commissariato in una nota, lavoravano dalle 8 alle 10 ore al giorno, con una pausa di soli 30 minuti per il pranzo, contrariamente a quanto stipulato nei contratti dichiarati, dove erano registrate solo poche ore di lavoro. Non solo: le indagini hanno fatto emergere «una retribuzione in palese difformità con quanto previsto dai contratti collettivi nazionali o territoriali», e che addirittura veniva «imposto il pagamento di una somma di denaro sotto forma di rimborso per le spese sostenute per il trasporto». I tre indiani sono stati tutti denunciati alla Procura per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, articolo 603 bis del Codice penale: tutti e tre residenti nel Bresciano, erano riusciti a costituire una «rodata organizzazione» appunto specializzata nel reclutamento di giovani stranieri, in difficoltà economiche, «allo scopo di avviarli a svolgere lavori manuali agricoli in aziende vitivinicole del Garda, approfittando del loro stato di bisogno e in condizioni di sfruttamento». A capo dell’organizzazione c’era la donna, mentre i due uomini si occupavano del lavoro sporco: reclutavano i profughi, direttamente al Centro d’accoglienza, li trasportavano sui luoghi di lavoro, li controllavano a vista durante le giornate in mezzo ai campi. Per le aziende agricole coinvolte nessuna responsabilità penale, ma una contestazione di tipo amministrativo per violazioni in materia previdenziale. È bene ricordare, infine, che il centro profughi è stato chiuso prima della fine dell’anno, a seguito delle segnalazioni arrivate in Comune sulle condizioni della struttura, ma che la cooperativa che lo gestiva (la Olinda di Medole) è risultata totalmente estranea ai fatti di sfruttamento. • © RIPRODUZIONE RISERVATA