Il Piano cave è sotto assedio «Un saccheggio del territorio»

di Cinzia Reboni
Una veduta aerea di un bacino di escavazione: il Piano cave provinciale continua ad incassare critiche
Una veduta aerea di un bacino di escavazione: il Piano cave provinciale continua ad incassare critiche
Una veduta aerea di un bacino di escavazione: il Piano cave provinciale continua ad incassare critiche
Una veduta aerea di un bacino di escavazione: il Piano cave provinciale continua ad incassare critiche

Un Piano cave da riscrivere e da riformulare, soprattutto perchè «le direttive fondamentali non sono state rispettate». Il giorno dopo la conferenza per la Vas convocata in Broletto, il Tavolo Basta Veleni punta il dito contro «una valutazione ambientale carente, che si nasconde dietro gli aspetti burocratici e non fa un’analisi seria delle criticità del territorio. L’Università di Brescia - spiega Eugenio Fasser - per il suo studio ha preso come riferimento solo gli elementi codificati, come la Rete Natura 2000 per le aree protette. Peccato che questa rete, che dovrebbe avere una maglia “fitta“, nella zona della pianura bresciana ha maglie talmente larghe che potrebbe passarci una balena». Nel Bresciano «ci sono paesi circondati da aree di cava enormi - ha aggiunto Fasser -. Penso a Montirone, con quasi mezzo chilometro quadrato di cave, che corrisponde a 70 campi di calcio. Sono quasi tutte cave in acqua, in una zona dove la falda è altamente vulnerabile, e molte di queste sono lì da cinquant’anni». Una delle richieste, illustrata da Eugenio Fasser, è che «le cave vengano coltivate per lotti da 100-150 mila metri cubi alla volta e che il recupero sia contestuale alla fine dell’escavazione». Molto critico il pensiero di Pietro Garbarino, sia sotto il profilo procedurale che sullo scarso utilizzo del materiale da recupero. «Questo iter è stato portato avanti nella più totale confusione - spiega il legale -: la fase della Vas è stata sovrapposta alla formulazione del Piano vero e proprio, ma questo è illogico: se la Valutazione ambientale strategica deve mettere i “paletti“ per quanto riguarda il rispetto dell’ambiente, il Piano non può essere formulato prima, con tanto di stima dei fabbisogni già decisa». Sul piano dell’utilizzo delle fonti alternative, le osservazioni del Tavolo Basta Veleni diventano ancora più pressanti. «I princìpi dell’economia circolare in questo caso vengono alquanto trascurati - aggiunge Garbarino -. Nella prima stesura del Piano - poi annullato per l’errore di algoritmo nei calcoli dell’Università - si è partiti con un quantitativo di quasi 10 milioni di metri cubi di materiale di recupero, come rocce e terre da scavo, e questo avrebbe imposto un discreto freno alla escavazione di materiale vergine. In provincia di Brescia esistono 216 impianti autorizzati per la lavorazione di rifiuti, in particolare inerti: questo “record“ dovrebbe essere coincidente con la quantità di materiale recuperato e riutilizzato. E invece quegli iniziali 10 milioni di metri cubi di materiale da fonti alternative sono stati inspiegabilmente dimezzati». Ma c’è di più. Ci sono i materiali provenienti da bonifiche agricole, circa mezzo milione di metri cubi, e quelli derivanti dalle grandi opere pubbliche, come l’autostrada della Valtrompia, con oltre 4 chilometri di galleria, la Tav, la Corda Molle, il prolungamento della metropolitana di Brescia. «E ci sarebbero da aggiungere anche gli sfridi di monte - precisa il consigliere provinciale Marco Apostoli -: vicino ai bacini di marmo ci sono enormi discariche di materiale di scarto, non utilizzabile. L’abbiamo quantificato in 4 milioni e 303 mila metri cubi. Il loro utilizzo permetterebbe di evitare un ulteriore utilizzo di terreno vergine, a salvaguardia dell’ambiente». «Il Broletto- ha sottolineato Marco Apostoli di Provincia Bene Comune -. non ha avuto la volontà di valutare questa opzione per un Piano che ha convinto solo cavatori e Confindustria». I comitati «Bitumificio? No, grazie» e il circolo Legambiente «La nostra Terra» di Ghedi, Montirone, Borgosatollo e Castenedolo hanno intanto scritto al ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani per denunciare «i pesanti costi ambientali per i cittadini che vedono la loro terra depredata dal Piano cave provinciale». Una missiva è stata recapitata anche al vescovo monsignor Pierantonio Tremolada. «Il piano cave precedente è stato un grosso errore: concessioni esagerate ai cavatori, distruzione di milioni di metri quadrati di suolo per un risultato del 40%, stimolo ad un’edilizia aggressiva e distruttiva pagata pesantemente dai cittadini. Il nuovo piano propone gli stessi quantitativi, le stesse personalità politiche, amministrative, imprenditoriali, le stesse ambizioni di crescita indefinita come se le delicate risorse fossero un bene inesauribile. Perseverano negli errori e anzi, aumentano le superfici sempre più vaste e sacrificate, eliminate per sempre dal sistema naturale, dagli uomini e dal creato». Una lettera-appello è stata inviata anche al prefetto Attilio Visconti e a tutti i consiglieri provinciali.•.

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