La strage del battello settant'anni fa sul Sebino

Montisola
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Cinque novembre 1944. Una data tragica nella storia del Sebino. Quel giorno, una domenica di sole, il battello «Iseo» venne mitragliato da aerei alleati al largo di Montisola: 42 i morti, 33 i feriti, 1 disperso. A 70 anni da quella carneficina i Comuni di Montisola, Tavernola Bergamasca e Iseo hanno indetto per domani «una giornata della memoria». Presenti i familiari delle vittime e dei superstiti, dopo l'alzabandiera, in località Gustinèl, dove il battello si arenò, sarà gettata una corona d'alloro.
ALLA PARTENZA da Tavernola, c'erano 120 persone a bordo dell'Iseo, quella domenica di sole, 70 anni fa. C'era anche l'«Orsa calcio». All'improvviso, alle 10,15, nove sagome nere oscurano il cielo. Tre velivoli si staccano dalla formazione e, dopo un giro di ricognizione, scendono in picchiata puntando sul battello, mimetizzato qualche giorno prima. A una prima raffica andata a vuoto, ne segue un'altra, che centra in pieno il bersaglio; il terzo aereo non sparerà. Attimi terribili. A chi è rimasto illeso o ferito di striscio si presenta una scena sconvolgente: nella galleria investita dalle pallottole dirompenti le implorazioni dei feriti si mescolano ai rantoli dei moribondi. Gli aerei sorvolano ancora una volta la zona, poi si dirigono verso Sale Marasino: lì sganceranno 40 bombe, provocando la morte di 5 persone e lesionando il palazzo Martinengo, sede di un comando tedesco. Il pilota dell'«Iseo», intanto, riuscì a condurre il battello in un'insenatura, a due passi dalla villa del medico condotto Ferrata. Fu lui, insieme con il figlio, a prestare i primi soccorsi e a far trasportare dai pescatori i feriti più gravi all'ospedale di Iseo. Annita Nazzari, allora 17enne, ricorda due scene di cui è stata testimone oculare: «La più macabra è quella di un bambino di 3 o 4 anni che teneva in mano la testa della mamma, staccata di netto. Piangeva così tanto perché voleva rimettergliela». La seconda: «Un campione di nuoto della traversata Predore-Iseo mi passò davanti e mi disse: 'So nuotare, mi butto'; però vidi che aveva troncato le mani. Morì dissanguato, non lo trovarono più». GIUSEPPE ZANI

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