«Lui e noi abbandonati da tutti nella sofferenza»

Gian Marco Lorito era stato premiato per aver sventato una rapina
Gian Marco Lorito era stato premiato per aver sventato una rapina
Gian Marco Lorito era stato premiato per aver sventato una rapina
Gian Marco Lorito era stato premiato per aver sventato una rapina

«Ad un anno dalla morte di Gian Marco noi, la sua famiglia, ci chiediamo ancora il perché! Ci chiediamo come sia stato possibile, lasciare solo un uomo ligio al dovere, dove il suo unico errore è stato quello di parcheggiare su un posto per disabili dalla dubbia segnaletica». Con queste parole, esce dal pesante silenzio, la famiglia dell’agente della Polizia locale di Palazzolo, che nel 2020, in una tragica e fredda sera d’inverno, solo, nell’auto di servizio davanti al municipio, dopo aver impugnato la sua pistola d’ordinanza, decise di togliersi la vita. Molti gli aspetti ancora da chiarire, per i famigliari che con una lettera aperta, hanno voluto raccontare oggi, la loro versione dei fatti, accaduti nel giorno più buio della loro vita. «Gian Marco è stato lasciato solo quel 4 febbraio – ricordano il padre Ernesto Lorito, la madre Maria Piazza, la sorella Alessia e la nipote Jennifer Chiaramonte -. Nessuno si è presentato all’obitorio del Civile di Brescia, nessuno vegliava il suo corpo, nessuno a ricevere noi, la sua famiglia. Nessuna ex compagna che proclama tanto dolore, nessun comandante che elogia tanto il suo subalterno, nessun collega, nessuno di tutta l’Amministrazione comunale, nessun sostegno psicologico. Nessuna spiegazione, neanche una lettera di scuse o semplicemente di rammarico da parte di chi postò su Facebook la foto dell’auto di servizio nello stallo per disabili, il quale, assieme ad altri, ha utilizzato i social in maniera indegna per segnalare un disagio cittadino. Il giorno della morte di Gian Marco erano tutti impegnati a rilasciare interviste varie a giornali e televisioni locali, come se quella fosse la cosa più importante da fare. Noi, soli col nostro dolore. Gian Marco era una persona allegra, gentile, mite e dolce. Dopo la fine della relazione con l’ex compagna nel giugno 2019 si era incupito e un po’ chiuso in se stesso. Non era tutto rose e fiori e lui ne soffriva. Nonostante il nostro sostegno e l’incoraggiamento a voltare pagina, entrambi continuavano inverosimilmente a vivere insieme come ex, fino al tragico epilogo. Abbiamo saputo solo il 3 febbraio quello che era successo il 24 gennaio, abbiamo sentito Gian Marco per l’ultima volta abbattuto, mortificato, prostrato, demoralizzato dal fatidico evento su Facebook, dai commenti, dai rimproveri, dalla cattiveria, dalla solitudine, sì, anche qui è stato lasciato solo. Non è stato sostenuto dai colleghi, tranne due o tre, non è stato protetto da chi era più in alto di lui, non è stato aiutato neanche da chi viveva con lui. Anche se era una ex, volere bene a una persona significa anche proteggerla e laddove non si riesce da soli, si avvisa la famiglia per tempo e non telefonando solo in quella tragica notte. Dieci lunghi giorni di sofferenza aggiunti alla sua sofferenza di mesi prima, sono stati la goccia che ha fatto traboccare il suo “vaso”. Il “vaso” è rotto e non tornerà mai più come prima. Un anno è passato ma noi siamo fermi ancora a quel doloroso 4 febbraio 2020. Andandosene Gian Marco ha portato via anche una parte di noi. Oggi chiediamo giustizia ma anche rispetto per la sua memoria. Nessuno ha il diritto di strumentalizzare la sua morte per farsi pubblicità professionale o di altra natura. A cercare la verità e a difendere la sua memoria, con l’ausilio del nostro avvocato, ci pensiamo noi». S.Duc.

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