«Mia figlia Simona non doveva morire così»

di Simona Duci
L’immagine più atroce: il corpo di Simona portato via in una baraLa vittima, Simona Simonini
L’immagine più atroce: il corpo di Simona portato via in una baraLa vittima, Simona Simonini
L’immagine più atroce: il corpo di Simona portato via in una baraLa vittima, Simona Simonini
L’immagine più atroce: il corpo di Simona portato via in una baraLa vittima, Simona Simonini

È da una fotografia che Bianca Corridori comincia a raccontare, una mamma distrutta dal dolore: la stringe forte tra le mani e per un attimo sorride. Ricordo di sua figlia, la sua bambina, che amava gli animali, l’arte, la lettura. UNA DONNA bella, intelligente, piena di entusiasmo e voglia di vivere. Ma è stata assassinata, quattro anni fa: uccisa a calci e pugni dal fidanzato dopo un crescendo di violenza e di follia, atto brutalmente terminale di un rapporto malato. Uno dei più atroci femminicidi delle cronache bresciane. Simona Simonini, classe '73, viveva a Provaglio d’Iseo con il suo assassino, Elio Cadei, poi condannato a 20 anni per omicidio volontario. Era il 15 novembre del 2015, ottavo anno di un fidanzamento senza speranza: «Sono pochi 20 anni per un crimine del genere - sospira la mamma -. L'unica cosa che voglio è che nessuna famiglia debba più subire ciò che abbiamo patito noi. Non c'è pace per noi, non ci sarà mai». Troppe sono le domande a cui Bianca e il marito Angelo non hanno trovato risposta. La più importante: perché le istituzioni non hanno saputo evitare di una tragedia annunciata. Tutti temevano che tra Simona e Cadei sarebbe finita male, che prima o poi l’avrebbe uccisa dopo i tanti pestaggi sempre denunciati. Lo sapevano i genitori, i servizi sociali, il servizio di psichiatria della sanità pubblica, che liquidò il caso di Cadei come «un soggetto agitato». Il maresciallo stesso, il giorno della scoperta del cadavere, vedendo arrivare il padre lo fermò: «Simonini non entri, quello che diceva sua moglie è successo». FORSE si sarebbe potuto evitare se ci fosse stata più attenzione: «un omicidio annunciato», ripetevano tutti quel mattino quando il cadavere di Simona fu trovato straziato da una cieca violenza. Un «amore malato», è scritto nella sentenza. «Ma quale amore - risponde la madre -: era una tremenda dipendenza, una patologia, un legame distruttivo, per lei e per noi che siamo ancora al mondo: 20 anni di carcere non sono abbastanza. La paura, che lui ritorni qui è grande - confessa mamma Bianca -. Non riesco a togliermi dalla testa che si sarebbe potuto evitare». SPINTA dalla conoscenza dei continui casi di femminicidio in Italia, Bianca qualche settimana fa ha deciso di scrivere al Presidente della Repubblica per capire il perché di tanti, troppi casi come quello di Simona: «Ci sono tante cose che non riesco a capire - dice Bianca -: lo ho scritto in una lunga lettera al Presidente Mattarella. Ho voluto chiedere alle cariche più alte dello Stato perché ogni giorno accada ancora che tante donne vengano picchiate, violentate e uccise dai mariti, compagni e fidanzati anche quando è noto a tutti il contesto di violenza e di terrore che si vive in quelle case. Perché nessuno interviene in tempo? Perché non sono previste pene più giuste per chi uccide? Perché non si riesce quasi mai a evitare l'omicidio? Eppure le storie che sentiamo sono sempre uguali: soggetti pericolosi che andrebbero fermati prima». Ma nemmeno il Capo dello Stato ha poteri di intervento. E se non li ha lui, che cosa possono fare le famiglie? L’UNICA DIFESA è la prevenzione, prendere da subito in pugno le situazioni a rischio: «Sono tutte morti annunciate, come quella della mia Simona - insiste la madre -. Con tutte le denunce ai carabinieri, con tutti i referti medici che testimoniavano la violenza subita nel tempo, avrebbero dovuto separarli obbligatoriamente». Non accadde. Finché nella notte tra il 15 e il 16 di novembre 2015, Simona fu strappata alla vita in seguito, come si legge nella sentenza, «a un bestiale susseguirsi di colpi con calci e pugni, del tutto analoghi a quelli ricevuti negli anni, ma stavolta tanto da provocare emorragia al cervello, con strozzamento che generava asfissia». •

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