I volontari per il Ghana «ostaggi» di Air Italy

di G.GAN.
I volontari camuni nel cantiere africano
I volontari camuni nel cantiere africano
I volontari camuni nel cantiere africano
I volontari camuni nel cantiere africano

Nonostante qualche problema tecnico di non poco conto, il legame di solidarietà tra la Valcamonica e la missione di Abor, nel Ghana, non si interrompe. Anzi: in questo caso sembra forzatamente ancora più stretto. Come accade da circa trent’anni, tra gennaio e febbraio i volontari camuni hanno raggiunto nuovamente l’Africa, per realizzare in questo caso una struttura da adibire a scuola. Stretto nel ricordo di padre Berto Zeziola, missionario comboniano originario di Angolo Terme, su iniziativa dell’allora parroco del paese don Franco Corbelli, il legame con la missione negli anni si è rafforzato ed esteso ad altri paesi della valle, e gli ostacoli nell’operazione Ghana 2020 non sono legati alla diffusione del coronavirus ma alla crisi di Air Italy. PER I TREDICI partiti dalla Valcamonica, infatti, il viaggio d’andata è stato un’odissea e sul ritorno pesa l’incognita della data: a oggi il gruppo non sa infatti quando, al termine delle settimane previste di permanenza, potrà rientrare in Italia, e neppure con quale volo. Per il momento l’attenzione dei volontari, in gran parte residenti ad Angolo, è dedicata alla costruzione dell’asilo scuola nel villaggio di Mafi Kumasi, uno dei tanti sparsi nei dintorni di Abor dove sorge il villaggio dei bambini «In my Father house» realizzato dal comboniano padre Peppino Rabbiosi. Una parte del gruppo è quindi impegnata a costruire la struttura. Gli abitanti del villaggio, coordinati dal costruttore e catechista Ben Amu, nelle settimane scorse avevano già scavato e gettato le fondamenta e preparato i prismi per la struttura grazie alle offerte provenienti dall’Italia. La presenza dei camuni non è una novità per la missione di Mafi Kumase: nel 2018, due gruppi hanno costruito l’asilo a Mepe Kpekpo, un piccolo villaggio a Ovest. Due volontarie invece si sono spostate ad Abor, per dedicarsi alla fisioterapia e all’animazione per i numerosi bambini ospiti del villaggio. «In my Father house», nato originariamente per i bambini che non potevano continuare a vivere nelle loro famiglie, ora accoglie oltre cento minori, alcuni dei quali necessitano di particolari cure mediche. Altri sono orfani o non hanno una rete familiare. A QUESTI si aggiungono ogni giorno alcune centinaia di studenti provenienti dalla zona per frequentare le scuole di diverso grado che nel tempo sono state istituite nel villaggio. I corsi hanno raggiunto un notevole livello qualitativo, e per questo sono molto frequentati. Infine, nel villaggio c’è anche una zona dedicata a chi accede al programma di carità perché troppo povero. •

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