Tartufi, Cemmo lancia il piano Un’associazione di produttori

di Luciano Ranzanici
Il padre  del coltivatore, Eugenio, e il cane da tarfufi di famigliaGiacomo Manganoni nella sua tartufaia e con un raccolto appena fatto
Il padre del coltivatore, Eugenio, e il cane da tarfufi di famigliaGiacomo Manganoni nella sua tartufaia e con un raccolto appena fatto
Il padre  del coltivatore, Eugenio, e il cane da tarfufi di famigliaGiacomo Manganoni nella sua tartufaia e con un raccolto appena fatto
Il padre del coltivatore, Eugenio, e il cane da tarfufi di famigliaGiacomo Manganoni nella sua tartufaia e con un raccolto appena fatto

La località Videt, a Cemmo di Capodiponte, è sicuramente, almeno per ora, la «capitale» del tartufo della Valcamonica; ed è proprio da qui che potrebbe decollare una auspicata associazione dei coltivatori/raccoglitori camuni. Lo spera Giacomo Manganoni, un trentacinquenne intraprendente che da circa cinque anni si dedica allo studio (prima) e alla coltivazione (poi) del tartufo nero, il Tuber melanosporum pregiato che qui cresce a quote non elevate. In questa località il nostro interlocutore, con l’aiuto del padre Eugenio, ha recuperato e trasformato in una tartufaia un terreno incolto di proprietà della nonna, la celebre staffetta partigiana Lucia Donina. Prima di provarci aveva fatto testare l’idoneità della terra all’Istituto agrario Pastori di Brescia, e incassato anche il parere di un vero esperto del settore, quel Virgilio Vezzola che si occupa di questi funghi sotterranei da trent’anni e che è stato fondatore dell’Associazione tartufai bresciani, della quale è presidente. È stato quest’ultimo a incoraggiare l’appassionato di Cemmo a dare vita a una coltivazione di piante micorizzate, ovvero sulle cui radici sono state inserite le spore del Tuber melanosporum. Detto, fatto. Giacomo ha iniziato l’avventura mettendo a dimora nel terreno cento alberelli, sempre col supporto del padre, e due anni fa ha iniziato il primo raccolto. Per questo ha anche addestrato Monet, il suo cane lagotto, una razza specializzata, acquistato per la ricerca sotterranea. Ora il coltivatore commercializza il suo prodotto rifornendo diversi ristoratori della valle, ma anche la vetrina commerciale gastronomica di Assocamuna «Terre Camune», e come detto sta lavorando per allargare l’operazione attraverso la costituzione di un’associazione tutta camuna: sul campo ci sono già una trentina di coltivatori. Pensando a questo progetto, il principale promotore e altri soggetti interessati guardano anche all’intervento della Comunità montana (che avrebbe già promesso la propria collaborazione) a sostegno di un’ipotizzabile filiera del tartufo; questo dopo che nel passato l’ente comprensoriale aveva già supportato (lo fa anche oggi) il settore agroalimentare e in particolare la viticoltura. «L’associazione darebbe ulteriore valore al prodotto nostrano, che dovrebbe essere inserito tra quelli a chilometri zero nel paniere della valle - ricorda Manganoni -. L’obiettivo primario di questo tipo di attività è l’ulteriore recupero dei terreni incolti per inserirvi organismi presenti da sempre nel territorio. La zona vocata si trova fra Capodiponte e Artogne, e in quarta ampia area è possibile coltivare nove tipi di tartufo nero. Ci sto provando con buoni risultati da oltre due anni e invito gli appassionati a consorziarsi».•.

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