Viticoltura e paesaggio la cantina Bignotti lavora a un progetto integrale

di C.VEN.
Un’immagine aerea dei vigneti della cantina Bignotti
Un’immagine aerea dei vigneti della cantina Bignotti
Un’immagine aerea dei vigneti della cantina Bignotti
Un’immagine aerea dei vigneti della cantina Bignotti

È già il nome scelto che richiama chiaramente al legame con il territorio: «Cultivar delle Volte» prende spunto dall’antica mulattiera (la via delle Volte) che da via Monte Grappa, nel cuore di Piamborno, risale ancora oggi il versante fino all’Annunciata. È lungo questo tracciato collinare suggestivo che maturano al Sole le uve prodotte e lavorate dalla cantina Bignotti. Uve, o meglio vigneti che hanno cambiato il paesaggio che si affaccia sulla valle dell’Oglio. Sono il risultato di una scommessa vinta ventidue anni dopo averla fatta per una famiglia che, partendo dal vigneto del nonno Pietro e dando valore alla storia vitivinicola del territorio, ha saputo reinterpretare in chiave moderna l’agricoltura, lavorando a un prodotto che non è solo il vino, ma anche il recupero della montagna, tra terrazzamenti e affacci unici sulla Valcamonica. «QUI C’È LA SINTESI tra la vigna, la terra, la vita, le passeggiate e il lavoro - afferma Andrea Bignotti -. Un insieme di cose che hanno portato al prodotto che oggi beviamo ma anche alla ricchezza di un intero territorio». Sei ettari coltivati a vite, e uno e mezzo tappezzato di olivi che si intrecciano con i sentieri e i terrazzamenti in fase di recupero. L’obiettivo è riportare la montagna a essere completamente coltivata, quasi come ai tempi dell’avvocato Maffeo Gheza, il pioniere che nei primi anni del ’900 imbottigliò il primo Lanzato nelle cantine con botti originali in acciaio e cemento dove oggi invece si imbottiglia il «Cultivar delle Volte». «Il nostro è un vino di montagna, che viene su questi impervi territori ricchi di storia e di generazioni passate che ci hanno lavorato duramente. Perchè oggi abbiamo tanti mezzi e risorse per lavorare e per farci conoscere, non come un tempo. Però coltiviamo la stessa terra di 7-8 generazioni fa ed è un orgoglio anche questo». Qui dove il vino incontra l’acqua del Davine che scava la roccia rinasce la storia di un territorio che salvaguarda i propri valori e il lavoro dell’uomo. QUI NON SI PARLA di business ma di tutela della biodiversità, di tradizione e di originalità. Dove le radici fanno presa, si allarga l’orizzonte e il fine è chiaro come un bicchiere di bianco all’ombra del campanile di San Vittore. È un mantra da non dimenticare: «È sì importante fare un ottimo prodotto in bottiglia - chiude Andrea Bignotti -, ma anche far conoscere la realtà in cui viene realizzato». La risposta è qui, nella valle che ha riscoperto la viticoltura dopo averla abbandonata per anni; nella valle che guarda al turismo forse non ancora del tutto consapevole che questo è il miglior modo per promuoverlo. Valorizzando un territorio che sa lasciare sbalorditi gli occhi degli estranei.

Suggerimenti