Dal Gambia a una
nuova vita: l’abbraccio
di Casto ad «Abu»

di Massimo Pasinetti
«Abu» nel Parco delle Fucine con Santo PiccinelliDurante un’escursione
«Abu» nel Parco delle Fucine con Santo PiccinelliDurante un’escursione
«Abu» nel Parco delle Fucine con Santo PiccinelliDurante un’escursione
«Abu» nel Parco delle Fucine con Santo PiccinelliDurante un’escursione

d Ha viaggiato per due anni, anche a piedi, per arrivare dal Gambia a Brindisi passando per Tripoli; per farlo è dovuto salire per due volte sui barconi degli scafisti, e alla fine di un pellegrinaggio che ha toccato anche Zone è approdato a Casto, dove ha trovato amici, lavoro, casa e una occasione per fare volontariato insieme al Gruppo Ferrate che lo ha «adottato». È in sintesi la storia recente di Aboubacar Jallow, 20 anni e per tutti a Casto semplicemente «Abu». Una storia difficile fin dall’infanzia. Nato nel Gambia, nell’Africa occidentale, uno dei Paesi più poveri del mondo, viveva in un villaggio con mamma, 3 fratelli e una sorella. Orfano di padre, a soli 4 anni è entrato in conflitto con quello adottivo che lo costringeva a lavorare la terra in condizioni di semischiavitù. «Nel 2014 sono scappato di casa per andare in città a fare il meccanico, ma il mio nuovo padre è venuto a riprendermi; così l’anno dopo sono scappato di nuovo». Così è iniziato il suo lungo percorso verso Nord: si è pagato il viaggio fino al Malì, poi ha raggiunto il Niger «dove mi sono fermato per lavorare e guadagnare i soldi per la Libia. Ho viaggiato per più di 5.000 chilometri mangiando solo riso e a volte neanche quello; senza contare le botte e le rapine». ANCHE IN LIBIA ha dovuto lavorare in condizioni di schiavitù o quasi, ma ha raccolto i soldi per Tripoli e ha imparato l’arabo: «Sono rimasto nella capitale per 17 mesi lavorando al mercato tra botte e soldi rubati. Finché una banda avversaria lo ha bruciato». Fuggito a Sabrata ha conosciuto uno scafista ed è partito con tanti altri, «ma in mezzo al mare ci hanno presi, riportati indietro e messi in prigione». È riuscito a fuggire e a riprendere contatti con lo scafista che aveva già pagato per il viaggio in Italia, e dopo qualche settimana di girovagare vicino al mare l’uomo lo ha imbarcato nuovamente: «Eravamo in 130, e il 14 luglio del 2017 siamo arrivati a Brindisi, da dove alcuni di noi sono stati portati a Serle e poi a Casto». Nel suo primo soggiorno nel Savallese, il Gruppo Ferrate gestore del Parco delle Fucine ha chiesto al Comune l’aiuto di un paio di persone, e Abu si è fatto subito avanti. Non solo: ha continuano a lavorare come volontario e ha fatto amicizia con tutti. Poi però, dopo 4 mesi è stato trasferito a Zone: «Non volevo starci, e uno degli amici di Casto, Luca Berra, mi ha chiamato dicendomi che mi aveva trovato un lavoro. Ho chiesto di lasciare Zone e sono tornato a Casto qualche giorno, ma ecco i problemi». Abu ha chiesto i documenti necessari per lavorare, ma per averli serviva un contratto che non poteva avere perché privo appunto di documenti. Così è tornato a Zone, ma da lì è fuggito per Casto. La soluzione dei suoi guai burocratici è arrivata proprio dal Gruppo Ferrate, che ha risolto il nodo documenti trovandogli, oltre al lavoro, anche una casa. Oggi lavora in un’azienda castense che si occupa di lavorazioni meccaniche, vive autonomamente in un appartamento, riesce a spedire soldi alla madre, continua a fare volontariato con gli amici che lo hanno accolto, è benvoluto da tutti e va anche allo stadio a vedere il Brescia. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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