Traffico di rottami «in nero»: due arresti e decine di denunce

di Paolo Baldi
Un militare vobarnese impegnato in un prelievo per verificare la qualità delle acqueRottami finiti sotto sigilli in occasione di un altro sequestroI carabinieri forestali della stazione di Vobarno
Un militare vobarnese impegnato in un prelievo per verificare la qualità delle acqueRottami finiti sotto sigilli in occasione di un altro sequestroI carabinieri forestali della stazione di Vobarno
Un militare vobarnese impegnato in un prelievo per verificare la qualità delle acqueRottami finiti sotto sigilli in occasione di un altro sequestroI carabinieri forestali della stazione di Vobarno
Un militare vobarnese impegnato in un prelievo per verificare la qualità delle acqueRottami finiti sotto sigilli in occasione di un altro sequestroI carabinieri forestali della stazione di Vobarno

Uno dei due imprenditori specializzati (in teoria) nel commercio di rottami metallici non possedeva neppure un capannone; neppure uno piccolo. Senza parlare poi di camion, gru e altre attrezzature per la lavorazione. Faceva tutto da casa, a Roè Volciano, movimentando materiali senza alcun tracciamento, acquistati in nero da immigrati, nomadi e persino pensionati attivi nello svuotamento di cantine, rivendendoli sempre in nero ed emettendo false fatturazioni che servivano non solo a evadere il fisco, ma anche a giustificare il trasferimento di denaro all’estero. Come sul conto di una ditta ungherese che faceva capo all’altro impresario delle «cartiere», finito come il valsabbino agli arresti domiciliari grazie al lavoro investigativo dei carabinieri forestali della stazione di Vobarno. Quest’ultimo, residente a Bagnolo, un capannone ce l’aveva, ma a Sondrio e completamente vuoto. Il bagnolese aveva anche l’autorizzazione al trattamento di rifiuti, solo che preferiva un approccio tutto suo al commercio. Un approccio che prevedeva appunto anche il trasferimento all’estero dei soldi prodotti con le false fatturazioni: oltre che in Ungheria in Croazia e in Slovacchia. LO SNODO fondamentale di questa attività era rappresentato da altre due aziende, queste sì operative, di Montichiari e Castenedolo, nelle quali grandi quantità di rottami privi di qualsiasi tracciabilità (perché appunto recuperati chissà dove e magari anche rubati dalle isole ecologiche) arrivavano e dalle quali ripartivano verso altre aziende, ovviamente senza neppure i controlli sulla presenza di componenti radioattive, accompagnati da falsi certificati di recupero e trattamento: un’attività che configura il reato di autoriciclaggio. I gestori di queste due aziende, due titolari e gli altri due formalmente dipendenti, appartengono allo stesso clan familiare e sono stati denunciati anche per questo. Le dimensioni del traffico, i cui protagonisti hanno tutti alle spalle precedenti per reati fiscali? L’ammontare delle operazioni inesistenti fatturate è stato di 19 milioni di euro, e tra aprile e ottobre dello scorso anno, il periodo del monitoraggio dei militari di Vobarno (col supporto dei colleghi di Brescia, Breno, Edolo, Iseo, Marcheno e del Nipaaf), sono state censite 382 consegne «sommerse» per migliaia di metri cubi di materiale. Consegne effettuate da oltre 30 trasportatori improvvisati che sono stati a loro volta denunciati. I due arresti sono stati decisi dal gip (le indagini sono state coordinate dai pm Ambrogio Cassiani e Leo Tenaglia), e fanno seguito a un altro arresto, avvenuto nel 2018 a Calcinato sempre a seguito di accertamenti sul traffico illecito di rottami e sempre condotti dai carabinieri forestali di Vobarno. •

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