Giorgio Napolitano non è mai stato a Brescia da presidente della Repubblica, ma moltissime volte per incontri di partito. È in quella veste di esponente di spicco del Pci prima e poi delle sue sigle derivate - Pds, Ds - che per lo più lo si ricorda in città. Carlo Azeglio Ciampi e Sergio Mattarella, ovvero i capi di Stato che lo precedettero e lo seguirono al Quirinale, ci sono venuti, invece «re Giorgio», come lo soprannominarono ad un certo punto per il suo lungo regno sul Colle, no, mai.
L’attività di partito
Così i ricordi qui coincidono soprattutto con il mondo ex comunista, di cui lui era il leader della corrente migliorista, parola che accende flash su una stagione lontana, eppure decisiva nella storia italiana, appena precedente la cosiddetta svolta della Bolognina di cui fu un protagonista. Incontri di partito, convegni, eventi pubblici negli anni ottanta e poi nei novanta, appunto in quella fase travagliata di transizione politica che portò alla fine del Pci. In veste istituzionale invece i giornali dell’epoca ne documentano il passaggio nel 1997, pochi giorni prima dell’anniversario della strage di piazza della Loggia, quando incontrò l’allora sindaco Mino Martinazzoli. A Brescia ci tornò altre volte all’inizio di questo secolo, giusto un paio prima della salita al Colle, salutata sulle colonne di Bresciaoggi da un gruppo di amici bresciani che ad ogni agosto lo incrociavano a Stromboli.
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Piarangelo Ferrari, dirigente del Pci locale ma anche deputato, dopo averlo incontrato nelle riunioni di partito continuò a vederlo a Roma durante la lunga presidenza. E sempre di lui ebbe l’impressione di «un uomo di grande eleganza, un borghese fine, non il classico dirigente comunista. Ci parlavi di tutto, non solo di politica, come ho incontrato solo Massimo D’Alema. Del resto era un grande lettore, un uomo molto colto, frequentava intellettuali, aveva amici soprattutto del mondo del cinema: uno per tutti, Ettore Scola».
Il deputato Ferrari di ricordi ne ha diversi del Napolitano presidente, ma uno in particolare è vivido ancora oggi, a distanza di tanti anni, dodici per la precisione. «Era il 2011 e Napolitano era venuto in Parlamento riunito in seduta comune per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. L’aula era addobbata solennemente, e solenne era tutto il clima di quell’evento. Napolitano pronunciò un discorso di altissimo livello culturale, ed io come non mai sentii l’orgoglio da una parte di appartenere alla stessa famiglia politica da cui proveniva quell’uomo e dall’altra un orgoglio patriottico, che non era sentimento insolito nei comunisti dell’epoca per i quali il tricolore veniva prima della bandiera rossa».