Toffaloni e Zorzi, gli alibi senza verbali e la pistola

di Mario Pari
Nella foto di Silvano Cinelli, cerchiato, quello che potrebbe essere  Toffaloni
Nella foto di Silvano Cinelli, cerchiato, quello che potrebbe essere Toffaloni
Nella foto di Silvano Cinelli, cerchiato, quello che potrebbe essere  Toffaloni
Nella foto di Silvano Cinelli, cerchiato, quello che potrebbe essere Toffaloni

Due elementi particolari caratterizzano la strage di piazza della Loggia rispetto ad altri eccidi. Nella ricostruzione investigativa che caratterizza le inchieste appena chiuse, con l’accusa di concorso in strage, per Marco Toffaloni e Roberto Zorzi rappresentano un punto dal quale partire per capire il collegamento tra Brescia e Verona. A Brescia, innanzitutto, non sarebbe stato possibile l’effetto sorpresa: dal mattino erano presenti forze dell’ordine, giornalisti e fotografi. Quindi non potevano essere impiegati per la strage estremisti locali o nazionali. Sarebbero stati riconosciuti in entrambi i casi. Servivano persone che conoscessero i luoghi, ma non bresciane. E qualcuno a Verona era, emerge dalle indagini, vicino non solo logisticamente a Brescia. In effetti le indagini sin dal giorno dello scoppio della bomba avevano portato ad accertamenti, e non solo, a Verona. Ma è solo molto più recentemente, rispetto al 28 maggio 1974, che sono emersi elementi considerati importanti dagli inquirenti. A partire, in tutti i sensi, dalle dichiarazioni rese da Giampaolo Stimamiglio che riferisce di una conversazione con Marco Toffaloni, avvenuta agli inizi degli anni ’90 in cui l’attuale indagato, sedicenne nel 1974, disse: «Anche a Brescia gh’ero mi». E poi «son sta mi». Stimamiglio gli chiese se fosse stato «Roberto» a consegnargli la bomba, riferendosi a Roberto Besutti (mantovano e deceduto), e Toffaloni rispose: «Sì, certo». Le indagini sono partite da lì, per quanto riguarda Toffaloni, e si è trattato di ricostruirne innanzitutto la figura. Tra quanto emerso, il fatto che Marco Toffaloni il 5 febbraio 1974 fu sorpreso nel centro di Verona mentre distribuiva volantini di «Anno Zero» e «Ordine nuovo», oltre alla rivista «Anno Zero». Lo stesso numero della rivista verrà ritrovato vicino al corpo senza vita di Silvio Ferrari, ucciso a Brescia dalla bomba che stava trasportando il 19 maggio 1974. A 16 anni, inoltre aveva una disponibilità di una pistola. Poi, il poligono. Non uno qualsiasi. Dagli accertamenti è emerso che quello frequentato da Toffaloni era proprio quello dove si recavano i principali esponenti ordinovisti. Poligono frequentato proprio nel 1974 anche da Carlo Digilio che in quegli anni era l’armiere di Ordine Nuovo. E che frequentava quel poligono, a Verona, pur essendo segretario di quello di Venezia Lido. E perchè poi, Marco Toffaloni, sulla base degli accertamenti relativi a una fotografia, sarebbe rimasto in piazza Loggia, il giorno della strage, dopo lo scoppio della bomba? Forse perchè era un minore e quindi non abituato a certe forme di criminalità. Ma gli investigatori non escludono che abbia voluto immortalarsi. I veronesi che avrebbero partecipato alla strage di piazza Loggia, secondo una delle persone interrogate, sarebbero stati però diversi. La persona interrogata avrebbe riferito anche che gli era stato detto che uno degli attentatori era Roberto Zorzi, l’altro attuale indagato. Mentre Toffaloni vive in Svizzera, lui vive negli Stati Uniti. Zorzi è sicuramente a Brescia, ai funerali di Silvio Ferrari, il 21 maggio 1974 e partecipa, quel giorno, anche agli scontri in piazza Mercato. Tra il 28 e il 29 maggio 1974 viene fermato, nelle indagini sulla strage, e poi rilasciato perchè ha un alibi: sarebbe stato in un bar. Ma non ci sono verbali, in merito. C’erano però due avventori al bar e uno di loro ha ricordi molto particolari. Dal fatto che «fosse antisemita», al matrimonio di Zorzi, con il saluto nazista, al termine, da parte dello sposo e di alcuni fedelissimi. E non dimentica d’aver visto Roberto Zorzi nel bar con una piantina di Brescia e che l’attuale indagato gli aveva detto che l’aveva utilizzata per andare ai funerali di un amico che «era saltato in aria in moto». Una piantina che però sarebbe stata maneggiata quando Silvio Ferrari era già morto e da parte di una persona che, sulla base di diversi elementi, conosceva, comunque, Brescia. A fronte di tutto ciò l’alibi di Zorzi rimane solamente quello dato dalle dichiarazioni di una sedicenne. Non ci sarebbero ulteriori riscontri relativamente agli spostamenti del 28 maggio 1974. Da altri accertamenti è emerso che Zorzi a bordo di una Dyane era stato notato all’esterno di un locale bresciano. Zorzi inoltre aveva frequentato l’Università a Trento, città dov’era stato anche Toffaloni. Una serie di intrecci tra persone che quindi facevano, secondo investigatori e inquirenti, parte di uno stesso gruppo. Un gruppo con componenti che avrebbe avuto un ruolo nella strage di piazza della Loggia. •. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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