Ruben Andreoli sarebbe dovuto partire ieri, 16 settembre, per andare in Ucraina insieme alla moglie, nata e cresciuta nell'ex repubblica sovietica: non era il primo viaggio e nemmeno sarebbe stato l'ultimo, ma i due – sposati da qualche anno – da tempo stavano progettando di costruire una casa per trasferirsi proprio in Ucraina.

Un'idea che rimarrà tale a seguito della terribile tragedia che ha sconvolto Sirmione: Andreoli, 45 anni, è accusato della morte della madre Nerina Fontana, 72 anni, a quanto pare uccisa a mani nude al termine di una violenta lite nell'abitazione condivisa con il figlio e la nuora al civico 16 di via XXIV Maggio, in zona Todeschino.
Il possibile movente
Ci sarebbe proprio la volontà di lasciare l'Italia all'origine dei presunti screzi che, proseguiti per settimane, sarebbero sfociati nel brutale raptus di venerdì sera: il figlio aveva intenzione di mollare tutto e pure di licenziarsi dal lavoro, circostanza che la madre avrebbe sempre contestato, negando il suo consenso e il suo supporto, sia emotivo che economico.
Nerina Fontana, il figlio Ruben e la moglie di quest'ultimo abitavano tutti insieme in un grande appartamento al primo piano in un condominio che ne ospita altri sei: nessuno tra i vicini avrebbe però mai riferito di un litigio ad alta voce, di una serata sopra le righe, di interventi delle forze dell'ordine. Lo stesso Andreoli era incensurato, sconosciuto alle forze dell'ordine, mai una parola fuori posto; è operaio magazziniere per la Franke di Peschiera, grande appassionato di motori e pilota di rally.
Il suo profilo Facebook è costellato di immagini e video di gare ed esibizioni: negli anni si è tolto diverse soddisfazioni sia a livello locale (nel 2021 anche al Benacus Rally, a bordo di una Peugeot 205 per il New Rally Team di Verona) che nazionale. Una famiglia per bene, come tante altre: mai nessuno avrebbe immaginato un epilogo del genere.
La signora Nerina Fontana era vedova da anni: il marito Serafino Andreoli, operaio edile e orgoglioso alpino, è morto d'infarto in stazione a Desenzano mentre aspettava il figlio di rientro da una vacanza.
Nerina amica degli alpini
Chi conosceva Nerina la ricorda come una persona simpatica e gentile, sempre disponibile: dopo aver lavorato per una vita nel settore alberghiero, da qualche anno si godeva la meritata pensione. Lo faceva insieme agli amici, partecipava spesso anche alle gite e alle iniziative del gruppo Alpini di Sirmione, come a voler mantenere viva la memoria dell'amato marito: alcuni conoscenti hanno riferito di averla sentita parlare di recente di qualche «problema», ipotizzando però che si trattasse di questioni legate al fratello, da tempo alle prese con una salute cagionevole.
Un'ipotetica pista su cui stanno lavorando gli inquirenti, invece, è che quei problemi appena accennati fossero riconducibili alla volontà del figlio di rifarsi una vita in Ucraina.
Anche venerdì sera, nel pieno del furente litigio, nessuno tra i vicini si sarebbe accorto di nulla se quando era troppo tardi, con le grida della donna che chiedeva al figlio di smettere. La prima chiamata al 112 è arrivata dagli abitanti del condominio: in casa in quel momento pare ci fosse anche la moglie di Andreoli, al momento – giusto chiarirlo – estranea alla vicenda.
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L'interrogatorio
L’indagato, assistito da un legale, ha scelto il silenzio. Ha scelto di non rispondere alle domande di inquirenti e investigatori. E in silenzio è rimasto quasi tutta la notte. Quasi, perché a un certo punto è crollato. Un cedimento emotivo che si è materializzato quando ha appreso della morte della madre. Fino a quel momento avrebbe lasciato intendere di non ricordare nulla.
C’è già una data per l’interrogatorio di convalida del fermo, fissato per domani, 18 settembre, alle 9.30. Ma anche quella sarà una situazione decisamente complessa. Al punto che potrebbe essere già presa in considerazione una consulenza psichiatrica.
Grazie ad essa sarebbe possibile cercare di colmare quel vuoto che si è creato dopo il delitto, da quando Ruben Andreoli si è seduto sul divano, prima di essere portato in caserma. Vuoto che forse affonda le radici in angoli remoti dell’esistenza, e che forse con quel primo crollo emotivo ha iniziato a sgretolarsi.