Ome coltiva la mela che sfamerà il mondo

di Simona Duci
Un gruppo di esperti durante la missione scientifica in Kirghizistan per  raccogliere i semi I genetisti della Fondazione Mach mostrano le prime piantine di melo
Un gruppo di esperti durante la missione scientifica in Kirghizistan per raccogliere i semi I genetisti della Fondazione Mach mostrano le prime piantine di melo
Un gruppo di esperti durante la missione scientifica in Kirghizistan per  raccogliere i semi I genetisti della Fondazione Mach mostrano le prime piantine di melo
Un gruppo di esperti durante la missione scientifica in Kirghizistan per raccogliere i semi I genetisti della Fondazione Mach mostrano le prime piantine di melo

Dai semi di Malus Sieversii recuperati in Kirghizistan durante la spedizione scientifica partita da Ome nell’agosto dell’anno scorso, sono nate più di 400 piantine di 15 centimetri di altezza: hanno qualche fogliolina già sviluppata. Gli esami di caratterizzazione genetica secondo il programma degli scienziati che li stanno studiando, verranno svolti entro l’estate, ma per tutti gli altri dati tra cui la resistenza patogena, ci sarà bisogno di attendere il 2024. Ripercorrendo le fasi del progetto, si annoverano 17 particolari specie arboree recuperate dai 9 spedizionieri. Botanici, biologi, storici, linguisti e il cavalier Antonio De Matola, curatore degli orti botanici di Ome, hanno riportato in Italia, al termine di un’esplorazione tra le terre kirghise, il prezioso dna delle mele primigenie, che contiene 60 milioni di storia della genetica. Specie di mele selvatiche, che hanno mantenuto nel tempo le originali caratteristiche, per i quali il mercato internazionale del food farebbe carte false, perché raro, e quasi perduto a causa dell’addomesticamento della specie, che ha portato i tecnici ad intensificare gli sforzi su un concetto di qualità, sacrificando la resistenza. Un argomento questo tanto attuale, quanto storicamente riconducibile agli anni Trenta quando la specie venne scoperta dallo scienziato russo Nikolaj Vavilov, un botanico pioniere della genetica di Mendel poi lasciato morire di fame in carcere durante le purghe staliniane, al quale è stata dedicata la missione del Kirghizistan. Vavilov passò la sua vita, inseguendo il sogno di eliminare la fame del mondo, e per farlo organizzò centinaia di spedizioni per tutto il mondo, recuperando semi rari, riuscendo attraverso gli studi a chiarire quel concetto di agricoltura etica, che oggi è stata ritrovata dalle giovani generazioni di coltivatori, e che secondo lo scienziato russo, era la chiave per la resistenza delle specie. Oggi con la crisi climatica in atto, il tema resistenza in agricoltura torna ad essere una priorità. Per i meli, solo qualche anno fa un gruppo internazionale di ricercatori guidato dalla Fondazione Edmund Mach di San Michele all'Adige ha confrontato le sequenze genetiche e confermato il primato del Malus Sieversii. Il caso ha poi voluto che di ritorno dal Kirghizistan, proprio dalla Fondazione Mach, un importante centro di istruzione e ricerca scientifica in campo agrario, sia arrivata la disponibilità, di aiutare la causa della spedizione scientifica bresciana. Ai genetisti della Fondazione Mach, sono stati affidati i semi di 13 specie di alberi, riportati dalle foreste primarie dall’Asia centrale, e che oggi a distanza di 9 mesi, possono mostrare le prime nate. Una nascita che porta con sé la speranza di trovare tra le fila di quegli alberelli, il dna originale, e più resistente, non solo al cambiamento del clima, ma anche a patogeni come la ticchiolatura, una grave malattia che affligge i meli da tempo. «Ci vorrà ancora un anno per fare gli esami di laboratorio opportuni, - hanno spiegato i genetisti della Fondazione Mach Michela Troggio, Davide Busetti e Nicola Busatto - che possano quindi darci la conferma sulla specie, e dei dati certi sulla loro purezza. Ma nel frattempo siamo soddisfatti di essere riusciti a far crescere 400 piantine nelle nostre serre, che in effetti sembrano essere più resistenti di altre. Abbiamo avuto una germinazione alta, che supera il 95%. A differenza del Malus sylvestris il nostro selvatico, -che ha contribuito alla domesticazione del melo, quindi una componente del genoma attuale del Malus domestica deriva sia da Sieversii ma anche da Sylvetris, che si trova nel parco naturale del Pollino- su cui stiamo lavorando per un progetto europeo, che invece ha registrato un basso riscontro sui numeri della germinazione rispetto alla Sieversii Kirghisa. Specie selvatiche che godono a quanto pare, di una qualità di forte adattamento». A organizzare la spedizione in Kirghizistan, l’estate scorsa sono stati l’Associazione Nagasaki Brescia Kaki Tree, gli Orti Botanici di Ome, Il Comune di Ome con l’Università degli Studi di Brescia, e il sostegno della Fondazione Cogeme, e Bresciaoggi, che ha seguito attraverso un report sul campo tutta la missione. •. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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