C’è chi affronta gli anni lunghi e faticosi della formazione puntando a diventare un primario affermato. Lui invece sognava di fare il medico di base fin da quando ha iniziato gli studi in medicina.
E Alessio Furloni, neo diplomato del corso triennale di formazione specifica in Medicina generale di Valcamonica, ce l’ha fatta: 33 anni, quattro ambulatori e la bellezza di 1.300 pazienti da seguire, spesso non solo sotto il profilo sanitario «ma pure sociale e familiare»; perché il «dottore della mutua» era ed è un unicum.
L'assistente di paese che aiuta i suoi pazienti
Ma in fondo questa era la sua ambizione: stare vicino alla gente dei paesi della sua valle, occuparsi di medicina del territorio. «La mia idea di professionista della salute durante gli studi - racconta - era quella del mio medico di famiglia, il dottor Laini. Ho sempre avuto questa immagine dell’assistente di paese che aiutava i suoi pazienti e questo ho voluto fare». Incaricato di garantire l’assistenza primaria fin dal 2020, ha iniziato nel momento più difficile, quello della pandemia, e non ha mollato.
Anzi, il covid gli ha dato un’ulteriore conferma che quella fosse la sua strada: «È stato un momento formativo di quelli duri ma che mi è servito tantissimo. Mi hanno supportato davvero molto la dottoressa Gheza e la dottoressa Bernardi». Perché allora tutti sembrano scappare da questa attività? «Perché il lavoro è duro - ammette -, soprattutto a livello mentalmente e specie dopo una fase come quella del covid, durante la quale niente come la medicina è stato messa in discussione. Noi stessi siamo costantemente messi in discussione».
L'assistenza sul territorio
Una missione sotto casa Furloni è nato e vive a Ossimo, lo stesso paese in cui esercita oltre che a Borno, Breno e Cogno, e dopo aver realizzato il suo, ora ha sogni per la rete della medicina territoriale. Che ha grandi potenzialità ma pochi mezzi per metterle in pratica. Qui l’assistenza si fa davvero sul territorio, ed «è inutile - ribadisce più volte - che ci si fissi sul modello delle città, qui non funziona».
Il rapporto con il paziente, che gli fa amare tutti i giorni la professione che ha scelto, è la carta che fa la differenza e la qualità dell’assistenza. «Mi auguro che si trovi il modo per farla rifiorire - chiude Furloni -, per darle il giusto appoggio per essere sempre più vicino ai malati, seguendo soprattutto quelli cronici, che sono sempre di più e che non possono essere sempre assistiti in ambiente ospedaliero. Perché resti un’assistenza capillare come è ora».