Indagine Taurus

Verona, ha l'obbligo di firma ma vuole andare in Romagna col suo escavatore

Un escavatore impegnato nell'alluvione dell'Emilia Romagna

«Ho visto la disperazione negli occhi di chi ha perso ogni cosa in pochi minuti. Lo scenario, le strade invase dal fango, mi creda, mi si è stretto il cuore. E mi sono chiesto cosa potevo fare. Ho un piccolo escavatore, ho le rampe e le benne. Mi metto a disposizione». Enzo Beltrame ha 57 anni, è stato coinvolto nell’operazione Taurus, l’indagine coordinata dalla procura distrettuale antimafia relativa alle infiltrazioni di ’ndrangheta nel Veronese. Lui, assistito da Maurizio e Filippo Milan, è attualmente all’obbligo di firma e lunedì i suoi legali hanno presentato un’istanza al presidente del collegio Pasquale Laganà davanti al quale si avvia alle battute finali il processo a carico di 52 persone ritenute legate, a vario titolo, all’associazione costituita dalle famiglie Gerace, Albanese, Napoli e Versace.

Il collegio ha esaminato la richiesta

Una posizione, quella di Beltrame, discussa ieri dai suoi difensori che hanno illustrato la linea difensiva e depositato una memoria scritta dallo stesso Beltrame. E sempre ieri il collegio ha esaminato la richiesta. «Guardi io mi rendo conto che può sembrare strano, sono all’obbligo di firma e non sono mai venuto meno a quanto mi è stato imposto. Chiedo solo di potermi spostare, vado anche a dormire in una caserma», prosegue. «Certo io non ho nessun appoggio, intendo dire non ho contatti con la Protezione civile ma se venissi autorizzato ad andare a lavorare per quelle persone mi metterei a loro totale disposizione. Che ovviamente mi dicano loro quello che devo fare e mi creda lo farei con tutto il cuore per il tempo che serve». Le immagini di ammassi di detriti lungo le strade, invase dal fango, e appoggiati alle recinzioni delle case sono entrate con la medesima violenza dell’inondazione negli occhi di milioni di italiani. I video che ritraggono gli «angeli del fango», studenti e non solo, arrivati da tutta Italia per spalare, svuotare cantine, ammassare mobili ormai inservibili che cantano «Romagna mia» per farsi coraggio e per tenere alto il morale anche di chi ha perso ogni cosa vengono postati in continuazione sui social, a dimostrazione che una mano aiuta l’altra e due possono ricostruire. «Magari è poco, ma fare comunque qualcosa di utile può aiutare la gente a uscire prima dalle difficoltà».

Il processo 

Ieri le battute finali del processo che lo riguarda, un processo nel quale, come egli stesso ha descritto nella memoria depositata al collegio, è entrato a causa di una vicenda che riguarda un capannone affittato a una ditta nel 2012 e ai problemi legati alla riscossione dell’affitto. Dopo un po’ infatti, il locatario smise di versare il denaro, lui sollecitò, sbagliò modalità perchè, probabilmente alterato, lo offese. «Avrei dovuto rivolgermi ad un avvocato», ha ammesso. E di questo problema circa gli arretrati parlò con Giuseppe Versace (anch’egli a processo) che era il cugino della sua ex moglie. Venne accostato anche ad Agostino Napoli «ma era mio cognato. Sono molto legato a lui ma non credo ci sia nulla di male», si legge nella memoria. Era in credito di 15mila euro, denaro sul quale pagava le tasse e voleva solo che l’inquilino moroso lasciasse libero il capannone, non desiderava l’intervento di terze persone. Un giorno, esasperato, taglio la rete di recinzione ed entrò.

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