L’INTERSCAMBIO

Brescia e il Paese del Dragone grandi cifre con interrogativi

I rapporti commerciali tra Brescia e Cina hanno fatto emergere una serie di interrogativi sulle prospettive future soprattutto alla luce delle conseguenze legate al Covid-19 Foto di Terry da UnsplashIl missionario Giulio Aleni

•• Sulla base degli ultimi dati disponibili - aggiornati al 2020, forniti dal Centro Studi di Confindustria Brescia con elaborazioni su base Istat - Brescia è la tredicesima provincia in Italia per import dalla Cina e settima per l’export, rispettivamente, con 662 milioni di euro e 394 mln di euro, per un totale di un miliardo e 56 milioni di euro di interscambio, in crescita di 200 milioni sul 2019. L’anno prima le importazioni pesavano per 581 milioni, le vendite per 275 milioni con un totale di 856 milioni di euro di interscambio.

La Lombardia, l’anno scorso, ha importato merci per 12,66 miliardi di euro, mentre l’export è stato di 4,260 miliardi di euro, con un saldo negativo di 8,4 miliardi. L’Italia ha fatto registrare un import di 32,144 miliardi di euro e un export di 12,887 miliardi. Per volumi di vendite in Cina davanti a Brescia troviamo Milano (con 2,200 miliardi di euro), seconda, ma molto staccata, Torino (660 milioni di euro). Terza è Bologna (573 milioni di euro), quindi Firenze con 504 milioni di euro. Quinta posizione per Bergamo, con 474 milioni di euro e sesta per Vicenza che ha esportato oltre la Grande Muraglia merci per 436 milioni di euro. Sul versante dell’import in prima posizione figurano Milano con 6,150 miliardi di euro, a seguire Roma (2,736 miliardi di euro), Lodi (2,287 miliardi di euro); Torino (1,095 miliardi di euro) e Napoli (1,087 miliardi di euro). Sesta posizione per Treviso con 1,053 miliardi di euro, quindi Bologna (963 mln di euro); Bergamo, ottava in classifica con 894 milioni di euro, Padova con 814 milioni di euro e decima Vicenza con 788 milioni di euro.
A seguito della pandemia da Covid-19, sul fronte dei rapporti commerciali con la Cina la situazione va monitorata e varia da settore a settore, da impresa a impresa. Colpisce che, a seguito di un’indagine effettuata a gennaio 2020, quando non si immaginava di essere travolti dal Covid, che stava invece deflagrando nel Regno di mezzo, sei imprese su dieci si aspettassero conseguenze in tema di interscambi con il Paese del Dragone. L’indagine è stata realizzata da Promos Italia, intervistando oltre 200 imprese attive sui mercati esteri: ha fatto emergere, nell’occasione, che le conseguenze per il business delle imprese in Cina erano tangibili e la preoccupazione per l’evoluzione degli affari nei mesi successivi era alta.
Raffrontando i dati 2020 con quelli 2019 in realtà si registrano incrementi anche consistenti di rapporti commerciali tra i due antichi Paesi, in evidente controtendenza rispetto alla situazione difficile, per usare un eufemismo, vissuta da produzione e servizi, per via dei lunghi mesi di lockdown e di attività parziale. La situazione ora è diversa, con l’economia cinese che ha ripreso a marciare a ritmo sostenuto e il Paese che vede la manifattura mostrare uno stato di vivacità che fa ben sperare. Non fosse per i rincari elevatissimi delle materie prime e i ritardi nelle consegne legati a complessi meccanismi di logistica intrecciati a movimenti speculativi, si potrebbe ipotizzare un futuro senza problemi. In realtà, la pandemia ha segnato anche una differenza di atteggiamento e introdotto diffidenze, anche italiane, nei confronti delle produzioni cinesi e soprattutto del sistema politico-economico di quella nazione.
Il tema degli interscambi con la Cina interessa in modo particolare la Lombardia, principale partner italiano con il 37,7% del totale, e Brescia per i consistenti volumi di scambio sopra richiamati. Per lo più si esportano macchinari e si importano elettronica e tessili. In crescita l’export di prodotti farmaceutici. Il made in Brescia è presente in Cina grazie a numero ristretto di aziende che, in più di un caso, hanno anche presenza diretta, o attraverso joint-venture con realtà locali. Si tratta di aziende con strutture medio grandi e con posizioni consolidate nei rispettivi settori di appartenenza. Tra queste si possono ricordare la Beretta di Gardone Valtrompia, la Cobo di Manerbio, il Gruppo Camozzi di Brescia, la Gefran di Provaglio d’Iseo, la Gnutti Transfer di Ospitaletto, la Ivars di Vestone, la Leonessa di Carpenedolo, la OMR di Rezzato, la Omav di Rodengo Saiano e la Sabaf di Ospitaletto. Mentre in terra bresciana vi sono aziende con partecipazione di capitali cinesi, è il caso di Evolut di Castegnato, Idra di Travagliato, Metech di Calcinato e Fonte Tavina di Salò partecipata dal colosso Ganten Water.

Se guardiamo alla storia e ai profondi rapporti, culturali ed economici, tra Brescia e il Paese del Dragone, risalenti al missionario gesuita Giulio Aleni, vissuto tra il 1582 e il 1649, talmente legato alla Cina da essere insignito del titolo di Confucio d’Occidente, il ruolo bresciano potrebbe essere ancora più rilevante. Ad iniziare da un più elevato scambio commerciale con forniture delle molte produzioni d’eccellenza. Per non parlare delle presenze turistiche cinesi, con una enorme potenzialità, evocata da anni ma tuttora praticamente inespressa. Senza dimenticare il rovescio della medaglia: l’allarme della Corte Ue, che ritiene gli investimenti cinesi un rischio per l’Europa. •. © RIPRODUZIONE RISERVATA