Il Gourmet Festival
ha fatto tappa
in Franciacorta

Fabio Abbattista dell'Albereta ed Anthony Genovese del Pagliaccio DAMATOA

La semplicità è un punto di arrivo. In cucina, come nella vita. Ne sono convinti Anthony Genovese, chef due stelle Michelin del ristorante «Il Pagliaccio» di Roma, e Fabio Abbattista, chef del ristorante «Leone Felice» dell’Albereta in Franciacorta. I due si conoscono da 13 anni, un tempo lavoravano in due ristoranti vicini, e hanno colto l'occasione di rivedersi in occasione della tappa bresciana del «Gourmet Festival», organizzato dall’Associazione «Relais & Châteaux». Per i non addetti ai lavori, si tratta di una associazione fondata nel 1954 che unisce 540 hotel di charme e ristoranti d’eccezione in tutto il mondo, accomunati da lusso, alta cucina e proprietari che amano fare con passione il proprio lavoro, veri «maestri dell’ospitalità», insomma. Non tutti possono farne parte, perché i requisiti per entrare nel ristretto club sono rigidissimi, basti pensare che in tutta la provincia di Brescia solo due possono vantare questo prestigioso riconoscimento: l’Albereta e Villa Fiordaliso di Gardone Riviera. La cena è stata organizzata per dimostrare che Oriente e Occidente possono comunicare a tavola, grazie a un mix ben bilanciato di ingredienti consueti e inconsueti. «Amo l’Oriente e ho avuto molte esperienze di lavoro in Cina, Giappone, Malesia e Thailandia – racconta lo chef Anthony Genovese -. Di quella cultura ammiro la pazienza e come sappiano rispettare i tempi dell’uomo e della natura. Là impari che, correndo, non arrivi da nessuna parte: bisogna cercare di raggiungere i propri obiettivi con intelligenza e calma». I Paesi del Sol Levante sono una passione anche dello chef pugliese d’orgine, ma ormai bresciano d’adozione, Fabio Abbattista, che ne indaga ingredienti come il calamondino, un mandarino nano che sta a metà tra mandarino e kumquat e che diventa il protagonista del dessert abbinato a una crema di cioccolato biondo e a un croccante al sesamo. «La cucina oggi va sempre di più verso un minimalismo elegante e, in questo, l'Oriente è maestro – dice Abbattista -. Il prodotto deve essere e restare il protagonista del piatto. Basta “fuochi d’artificio” e protagonismo, bisogna tornare all’essenziale». L’indagine del gusto riparte proprio da qui, così nel piatto ci sono sapori netti che reinterpretano in modo originale piatti tradizionali. Anthony Genovese, ad esempio, si ispira allo spaghetto aglio, olio e peperoncino, ma torna in Oriente creando spaghetti di grano arso, ingrediente tipico del sud Italia, abbinati ad alghe nori, granita di ricci e lumachine di mare. Anche Abbattista dimostra che l’equilibrio è possibile: il suo pollo ficatum, un pollo che viene nutrito anche con fichi secchi macinati, secondo una tecnica d’ingrasso già conosciuta dagli Egizi, è arricchito da una salsa profumata al cocco e lemongrass. Come abbiamo detto all’inizio, nel piatto sembra tutto semplice, ma le tecniche ci sono, eccome. Il pollo ficatum, per esempio, viene cotto a bassa temperatura per due ore sottovuoto, e poi saltato in padella e glassato. Il secondo esempio carnivoro, mix di tecnica «che non si vede», è la Coda di bue di Genovese, che viene brasata in forno a fuoco basso per otto ore e poi ripassata in padella: l’effetto è un cilindro di carne così morbida che si scioglie in bocca, accompagnato da cavolo nero e topinambur che, invece, regalano consistenze «da masticare».

A dimostrare che il confronto non deve spaventare, sono stati messi «fianco a fianco» non solo Occidente e Oriente, ma anche Italia e Francia, con i vini Bellavista seguiti dagli champagne Moët & Chandon. «Ogni volta che organizziamo una cena a quattro mani all’Albereta il clima si accende, si stringono legami, si creano amicizie, si scoprono nuovi orizzonti, in cucina e al tavolo - spiegano i proprietari Carmen Moretti e Martino De Rosa -. Il confronto tra due vini, due culture, due cucine può essere soltanto fonte di arricchimento per entrambi, ma troppo spesso lo dimentichiamo. Il successo di questi eventi lo dimostra il un clima di amicizia e di convivialità che si crea fin dall’inizio della cena: è la felicità dell’ospite che “ricarica” chi lavora in cucina e chi fa il nostro lavoro di imprenditori dell’ospitalità. Non aver paura di “aprire i cancelli” è da sempre la filosofia della nostra famiglia». I bresciani si stanno avvicinando con entusiasmo all’alta cucina e dimostrano grande interesse per queste cene che portano a Brescia chef importanti. Si registra il «tutto esaurito» ad ogni appuntamento: è stato così con Norbert Niederkofler, chef stellato esperto di cucina di montagna, e con Ernesto Iaccarino, dello storico ristorante «Don Alfonso», attivo nella penisola sorrentina dal 1890. Se la curiosità si fosse accesa, le cene del Gourmet Festival continuano per tutto l’anno e in tutta Italia: l’occasione più vicina a Brescia sarà il 6 aprile all’hotel Château Monfort di Milano: lo chef «padrone di casa» Andrea Asoli ospiterà lo chef marocchino Said Fargani del ristorante «Villa Diyafa Boutique Hotel & Spa» per un viaggio tra le spezie e i profumi del Marocco. Le cene esotiche continueranno, sempre allo Château Monfort di Milano, giovedì 16 giugno con protagonista Abida Jabbour, chef di Riad Fès: il suo ristorante, l’Ambre, è unanimamente riconosciuto per essere il migliore indirizzo gourmet della città dove gustare le ricette tipiche della tradizione marocchina rivisitate con un sapiente tocco moderno. Chiuderà questo viaggio Ahmed Handour, chef di L’Heure Bleue Palais, che il 16 novembre darà prova del suo talento e del legame con le sue origini esaltando i piatti tipici della tradizione culinaria marinara con l’uso di prodotti locali come l’olio d’Argan e l’astice di Essaouira.

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