INTERVISTA

Marco Sissa

Bresciano, classe 1985, musicista votato alla produzione, Marco Sissa è un collezionista di hit in Italia e nel mondo

Come le idee nell'iperuranio di Platone, le melodie galleggiano in un mare in cui non esiste divieto di pesca. Marco Sissa le coglie così, facendole sue. «Le hit non si creano, succedono», ha detto una volta, e fa sorridere sentirlo da lui, hitmaker per eccellenza di questi ultimi anni. Bresciano, classe 1985, ha conquistato le classifiche con Rovazzi e Benji & Fede, Il Pagante e Roshelle, Mr. Rain e Martina Attili, Marnik e Merk & Kremont. Soprattutto, ha firmato e cantato We Are the Mars, sigla della serie tv globale di Disney Channel Penny on M.A.R.S, e con il moniker LA Vision ha fatto incetta di record insieme a Gigi D'Agostino: «Hollywood» è stata un successo clamoroso, brano italiano più venduto nella chart Worldwide di iTunes (entrato nella top 50) e più alto nella Chat Viral 50 di Spotify, oltre che nella top 20 dei brani più shazammati al mondo.

Produzioni internazionali e progetti a getto continuo, partendo sempre da Brescia?
Qui ho la mia base, con mia moglie Maria mi sono appena trasferito a ridosso del centro storico. Ma sono sempre in movimento: prima abitavo a Milano, da piccolo ho viaggiato parecchio perché la mia famiglia è avventurosa. Mia mamma è brasiliana, mio papà ha fatto il suo lavoro di architetto in posti diversi, qui come a San Paolo o a Rio de Janeiro. Siamo stati sul Garda, andati e tornati dal Brasile dove è nata mia sorella Marta. Ho cambiato 5-6 case, oggi faccio la spola da Londra dov'è gestita la maggior parte del mio lavoro. Ma ho fatto le scuole medie a Moniga e il liceo scientifico a Brescia al Leonardo.

Musica fin dalla culla?
Assolutamente: mio padre è un chitarrista molto bravo, mia madre ha una musicalità tutta brasiliana, ho assorbito la tradizione della bossa nova, Jobim e Veloso insieme a Queen e Michael Jackson, Elton John e Stevie Wonder. Sono cresciuto inciampando in una chitarra e maneggiando una tastiera.

Indirizzo preciso e inevitabile?
Ho sempre visto la musica come l'unica forma di comunicazione adatta a me. Sono autodidatta, per me prima di tutto è stata gioco, scoperta. Linguaggio e compagnia di vita. Ho via via alzato l'asticella per arrivare dove l'orecchio e la fantasia mi consentivano. Ascoltavo Debussy, Petrucciani, e insegnavo alle miei mani a riprodurre quello che avevo nella testa.

Quando il primo pezzo?
A 14-15 anni mi ero ormai formato come pianista e chitarrista, suonavo brani da conservatorio, mi destreggiavo. Mi sono considerato fin dall'inizio un musicista, non uno strumentista: i primi esperimenti di composizioni risalgono agli 8-9 anni, erano esercizi di diteggiatura, una sorta di autotraining. Alla canzone sono arrivato a più livelli, passando dal pop e dalla dance. Mi sono cimentato con l'house, nel 2008-09 ho scritto il primo brano in forma compiuta, ma la svolta è stata nel 2011, quando mi ha chiamato il production manager dell'etichetta indipendente Melodica: a Universal Francia serviva una canzone. Mi ha galvanizzato realizzare con Merk & Kremont il brano per la Disney: la stretta di mano ricevuta alla fine da chi sta ai vertici di una realtà del genere è stata una soddisfazione enorme.

Ha collaborato con assi della produzione come Andrew Bullimore. Con Gigi D'Agostino il punto più alto, commercialmente parlando?
Sì. Il progetto LA Vision è nato nell'estate del 2019. All'inizio lo avevo chiamato The Vision, la visione, prendendo ispirazione da testi di due band che amo come Queen e MGMT. Il nome The Vision apparteneva già a produttori inglesi, allora il mio manager Joe ha suggerito LA, che richiama la Los Angeles degli anni 90.

E suona bene in tante lingue.
Il che non guasta.

L'esordio dell'estate scorsa, «Hollywood», ha ottenuto qualcosa come 81 milioni di visualizzazioni in un anno su YouTube, disco d'oro in Germania e disco di platino in Austria, Polonia e Italia.
Ho contattato D'Agostino su intuizione di Giacomo Maiolini della Time Records. Gigi ha gradito e abbiamo terminato il brano insieme. Poi è andato benissimo.

Quest'anno è arrivato «In & Out». Ma il segreto dei grandi numeri, in fin dei conti, qual è?
Sarò banale, ma lo penso da sempre: è la melodia. Perché prescinde dalle mode.

Ora impazza il reggaeton, ma quanto resisterà? L'esplosione impronosticabile su scala mondiale dei Måneskin prelude al ritorno delle chitarre in primo piano e quindi del rock?
Io credo che tornerà, sì: il rock è nella nostra cultura, riempie gli stadi e noi usciremo dalla pandemia con la voglia di emozionarci insieme, di condividere. Il reggaeton è usa-e-getta, l'hip-hop dà sfogo al disagio dei giovani, il rock farà esplodere la rabbia, il desiderio delle nuove generazioni di riprendersi il mondo.

Da Phil Spector a Quincy Jones, da Trevor Horn a Nile Rodgers, da Rick Rubin a Mark Ronson: quanto è sottovalutato il mestiere del produttore?
Troppo, considerato il suo ruolo determinante più o meno da sempre. Il problema è che in Italia rispetto a quasi tutti i paesi stranieri la professione del musicista a 360 gradi non è considerata quanto quella del commercialista o dell'architetto. Ma dare una direzione musicale, produrre un pezzo, curarne gli arrangiamenti, è un lavoro a tutti gli effetti. Io mi ispiro a George Martin che ha plasmato il suono dei Beatles come a Max Martin che ha portato al successo Britney Spears.

Arte e artigianato insieme. Dopo il remix di «Underwater Love» per Alok & Timmy Trumpet e «Somewhere» con Tallisker, a cosa sta lavorando adesso?
Sto esplorando le fasi sonore dei sogni adolescenziali. Gli anni '90 con «Hollywood», il 2000 con «In & out»... Proseguirò con la metà degli anni zero. Sto collaborando con i Vinai, duo di fratelli bresciani che ha saputo affermarsi in campo internazionale. Inserirò elementi più organici, cantati da me, introducendo anche la voce naturale, non effettata. Il mio progetto è un performing act: Calvin Harris che miscela la sua musica con quella di Abba e Queen. Un'idea che ho in cantiere da due anni e mezzo. Inoltre, ho scritto una canzone che è piaciuta ad Alok e potrà essere interpretata da Gilberto Gil. Bossa nova modernizzata.

Sul fronte lituano è ancora attivo?
Certo: sono amico di Dynoro, grande produttore, inoltre tutta la fase iniziale del progetto LA Vision verte intorno al racconto di una ragazza che verso la fine degli anni '90 decide di lasciare il suo paese nell'Europa dell'Est per cercare fortuna come attrice a Los Angeles. «Simple Song» di Gaullin è come il secondo capitolo di «Hollywood»: una collaborazione che continuerà.

Musica, musica e ancora musica. Una passione che regge il confronto?
Amo le auto. Mia moglie gira con una 500 Abarth, io spazio dalla Golf a una Lotus che venderò: ora punto a una Bmw M2. Il mio nuovo piccolo sogno.

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