In Inghilterra la campagna vaccinale sta andando bene, almeno secondo il giudizio di Michele Orini, ingegnere biomedico e ricercatore all’University college di Londra, città dove vive dal 2012. Non è ancora vaccinato ma «manca poco, credo che a breve arriverà il mio turno per la prima dose, ho amici quarantenni che l’hanno già fatta ma io, che ancora non sono negli anta, devo aspettare ancora un poco». Il criterio seguito anche in Inghilterra è quello dell’età, oltre che per le categorie prioritarie come operatori sanitari, anziani e fragili. «Il piano è tutto centralizzato non ho avuto bisogno di iscrivermi – spiega – il meccanismo funziona così: arriva un sms e il link dove scegliere il giorno, l’ora e il luogo ed è fatta. E’ molto efficiente ora, ma non è sempre stato così. Fino a prima di Natale tutta la gestione, quindi non solo quella dei vaccini, è stata disastrosa ma poi ha iniziato a funzionare, dopo l’allarme creato da quella che in Italia è detta ‘variante inglese’ e qui ‘variante del Kent’. Da gennaio sono arrivati tanti vaccini e ora la popolazione è stata raggiunta in massa ed è contenta, si marcia ad un ritmo di circa 800mila persone al giorno».
Michele da un anno lavora da casa, ma per le strade di Londra non c’è il deserto, nonostante le chiusure: «Le scuole si cerca di tenerle aperte il più possibile – aggiunge –, sono state chiuse a dicembre fino all’8 marzo e poi riaperte. Anche perché i vaccini stanno portando sicurezze, qui i no vax in pratica non esistono e molti sono stati sorpresi dallo stop che, negli altri Paesi, è stato imposto per qualche giorno ad AstraZeneca. Io lo farò tranquillamente, così come lo farà senza timore la mia compagna che è di origini francesi». Il vaccino, così come le cure in generale, sono a suo carico? «No, il sistema sanitario è più o meno come in Italia, quindi pubblico. E come in Italia ci sono problemi di lunghe liste d’attesa… ma non per il piano vaccinale anti Covid: quello sta funzionando».