Le impronte
incastrano i
rapinatori violenti

Francesco Scalvini, le sue condizioni restano stazionarie BATCH

Da una parte il faticoso e incerto percorso di riabilitazione, dall'altro le serrate indagini che non si sono mai fermate. Sono i due volti della brutale aggressione di sei mesi fa che ha ridotto in coma Francesco Scalvini, elettricista 37enne di Ghedi, colpito alla testa da un attrezzo durante la colluttazione con una banda di rapinatori.

DA MAGGIO Francesco è uscito dal coma e trasferito dalla terapia intensiva al reparto di riabilitazione della Poliambulanza. «In questo periodo - spiega lo zio Albino Chiarini - la situazione è stazionaria. Francesco prosegue nella lenta riabilitazione. In una circostanza ha aperto un occhio, ma difficilmente reagisce agli stimoli dei familiari». Dallo stretto riserbo delle indagini trapela invece che i carabinieri hanno identificato il gruppo di rapinatori dell'Est da cui dipendeva la cellula di tre componenti della banda entrata in azione la sera del 23 gennaio nell'abitazione del padre Giancarlo Scalvini.

I banditi, sorpresi mentre cercavano di forzare una cassaforte, avevano reagito avventandosi contro Francesco, il padre e un altro parente. L'attrezzo del ferimento, forse un martello da carpentiere o un piede di porco, non è mai stato ritrovato, ma grazie all'attività investigativa scientifica e ai controlli incrociati su stranieri già fotosegnalati è stato stabilito un nesso fra la rapina di Ghedi e la banda che aveva seminato il panico solo pochi giorni prima a Manerbio.

La Sezione investigazioni scientifiche è riuscita a isolare un «pacchetto» di impronte e reperti biologici comparati con i database delle persone fotosegnalate. Si tratta ora di rintracciare i sospetti e di attribuire le singole responsabilità. Pochi giorni prima, in via Saldi a Manerbio i banditi, i banditi incuranti che nella casa presa di mira ci fossero due bambini, vennero sorpresi da una pattuglia della stazione di Leno. Nelle concitate fasi di inseguimento, i ladri in fuga su un crossover speroarono l’auto dell'Arma. Era una grossa auto, forse un suv, che compare nelle testimonianze di un altro tentato furto in abitazione, sempre a Manerbio ma nel quartiere «Fanfani». I tre individui entrati in azione a Ghedi sarebbero scappati su una Bmw chiara, ma sul modello non ci sono certezze.

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