Il grattacielo che l’Italia
fascista volle costruire
alla moda di Chicago

Il palazzo Torrione FOTOLIVE BATCH

Il Torrione, così si chiama il grattacielo di piazza della Vittoria, poteva essere a Chicago anzichè a Brescia. Non proprio identico, ma con quel progetto Marcello Piacentini aveva partecipato al concorso per la realizzazione del Chicago Tribune Tower insieme alle maggiori archistar dell’epoca: Loos, Gropius, Mayer... Se avesse vinto l’architetto preferito dal Duce, quando l’amministrazione di Brescia alla fine degli anni Venti gli commissionò il Torrione avrebbe dovuto inventarsi qualcosa di diverso. Invece aveva già la bozza di Chicago e su quella si basò. A completamento di piazza della Vittoria, un’operazione urbanistica tutta affidata a lui, mise la ciliegina sulla torta di un grattacielo, che allora faceva molto America, e in particolare molto Chicago, la città che aveva scelto di rinascere letteralmente dalle ceneri (era stata distrutta da un incendio nel 1881) in verticale, andando a grattare il cielo sfruttando al massimo lo spazio. La parola grattacielo, italianizzazione dell’inglese skyscraper, non è che non si potesse usare da noi, ma il regime preferiva qualcosa di più italico o comunque legato alla nostra tradizione. Così lo si chiamò Torrione. E pure nello stile, con le volte nelle quali sono iscritti i finestroni e il mattone come materiale costruttivo, è pensato per richiamare i tetti e gli edifici del centro, quindi per rispettare il contesto storico ricco di segni medievali.

CI VOLLERO quattro anni circa per trasformare quel pezzo di città, proprio come voleva l’amministrazione comunale di Brescia in linea con precise indicazioni del regime in tema di risanamento urbanistico. E lì il quartiere cosiddetto delle Pescherie di risanamento aveva proprio bisogno: un reticolo fitto di vicoli e case alte in un contesto abbastanza degradato. Tra il 1928 e il ’32 il quartiere venne spazzato via per far posto alla grande piazza, con quell’aria solenne e in perfetto stile razionalista che piaceva nel Ventennio. Un cantiere che fatte le debite proporzioni fa pensare a quello della metropolitana del primo decennio del Duemila. Un gran sconvolgimento, anche allora con l’idea di proiettare Brescia nella modernità. E al centro, si fa per dire perché il grattacielo è a nord-est della piazza, i 57 metri e 13 piani fuori terra di quello che allora era il più alto edificio d’Italia e il più alto in cemento armato d’Europa. Lo superarono presto, ma quando venne inaugurato ne parlò tutto il mondo. Anche l’Italia era in una corsa alla verticalità che in verità non l’appassionò mai molto. Comunque, ad inaugurare la piazza e il Torrione - anche torre delle assicurazioni visto che fu pagato dall’Ina che vi tenne sede fino a qualche anno fa - arrivò anche Benito Mussolini. Che per non tradire l’immagine del macho italico che non perdeva occasione di rinverdire, sdegnato rifiutò i cinque ascensori e salì a piedi. Dicono le cronache che arrivò in cima per primo e con ampio margine. Ma si sa com’è con i dittatori, è come quando si gioca con i figli: li si lascia vincere. E.B.

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