Forestale: i capanni nel mirino
scattano 10 denunce in 2 giorni

Dal punto di vista della migrazione avrebbe dovuto essere un tranquillo weekend di novembre; nonostante la ridotta quantità di uccelli in movimento, invece, lo scorso fine settimana gli agenti del corpo forestale dello Stato non hanno faticato molto nel sorprendere e denunciare ben dieci capannisti per violazioni venatorie di tipo penale e amministrativo. Per raggiungere il risultato è bastato organizzare un servizio mirato nella fascia oraria più a rischio (dal punto di vista della fauna): così in poche ore i verbali si sono accumulati.

I MIGRATORISTI sono stati «visitati» dagli agenti direttamente nei rispettivi appostamenti fissi sparsi tra Provaglio Valsabbia, Agnosine, Pertica Alta, Nave, Pezzaze, Lumezzane e Bovegno, sanzionati mentre usavano gli immancabili «fonofil», ovvero richiami elettronici o smartphone attrezzati per riprodurre i canti degli uccelli, attiravano l’avifauna usando richiami vivi protetti e sparavano a specie tutelate dalla legge. L’operazione è stata portata a termine da personale del corpo forestale delle stazioni di Gavardo, Salò, Concesio, Gardone Valtrompia e Bovegno, e in entrambe le giornate è iniziata a cavallo dell’al- ba, nel momento critico in cui - come dimostrato anche dalla natura dei ritrovamenti - il passo dei tordi diminuisce e in mancanza di meglio inizia la fucileria diretta all’avifauna protetta.

I RISULTATI sono eloquenti. Attorno ai capanni campeggiavano numerose le spoglie di fringuelli e peppole: le stesse specie vietate, insieme ai frosoni e a un lucherino, usate in alcuni casi come richiami vivi dai dieci migratoristi che sono stati denunciati.

Alla fine delle due giornate, oltre ai capi abbattuti sono stati sequestrati, trasferiti in un Centro per il recupero della fauna selvatica e in parte liberati sul posto 15 esemplari in gabbia: nell’elenco c’erano anche un paio di tordi con gli anellini di identificazione visibilmente contraffatti, e quindi presumibilmente catturati con reti clandestine e poi maldestramente «legalizzati», a testimoniare ulteriormente l’ampia diffusione nel Bresciano di prassi illegali legate all’attività venatoria già a partire dall’origine degli «strumenti» utilizzati per la caccia.

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