Dylan, menestrello
che non smette
di cercare

di Manuel Venturi
Oltre 500 persone hanno affollato l’auditorium Capretti per l’evento della Fondazione San BenedettoMaurizio «Riro» Maniscalco, musicista e scrittore, si è trasferito negli Usa nel 1994 FOTOLIVE
Oltre 500 persone hanno affollato l’auditorium Capretti per l’evento della Fondazione San BenedettoMaurizio «Riro» Maniscalco, musicista e scrittore, si è trasferito negli Usa nel 1994 FOTOLIVE
Il «Mese letterario» all'Artigianelli

Tutti in coda per la letteratura, la poesia e... la musica. All’Istituto Artigianelli è andata in scena la prima serata dell’ottava edizione del «Mese letterario» e come ogni anno è stato un successo: cinquecento persone hanno affollato l’auditorium Capretti, per seguire l’evento organizzato dalla Fondazione San Benedetto. Ma sarebbero potute essere molte di più: per motivi di inagibilità del- l’Auditorium Balestrieri, che negli ultimi anni era diventata la sede dell’evento, il Mese letterario è tornato agli Artigianelli dove otto anni fa aveva mosso i primi passi.

Le domande accettate dalla Fondazione sono state 630, dopodiché le iscrizioni sono state bloccate: ieri sera in oltre 500 hanno assistito all’incontro dedicato al «menestrello» del rock, Bob Dylan, divisi tra la sala principale e un’altra collegata in video. La poetica di Dylan e la sua capacità di creare magia con le parole sono state protagoniste assolute della serata: a guidare il pubblico nel mondo del Nobel per la letteratura 2016 è stato Maurizio «Riro» Maniscalco, musicista e scrittore trasferitosi negli Usa nel 1994. Maniscalco è stato il primo relatore del Mese letterario, che quest’anno ha come titolo «Viaggiatori innamorati della bufera. La vita, un viaggio duro, ma meraviglioso»: nei altri appuntamenti previsti per i prossimi giovedì si parlerà di Ugo Foscolo, Virgilio e del «grande spettacolo del cielo», tema trattato dall’astrofisico Marco Bersanelli.

MANISCALCO non ha solo parlato del grande cantautore statunitense, ma l’ha portato in scena: ai racconti sulla sua vita e sulla poetica che permea i suoi testi si sono alternate performance musicali dello stesso relatore e video di esibizioni del giovane Zimmerman. «Dylan ha scritto poesie vendute attraverso la musica: ha dato vita a oltre 500 canzoni, correndo come un torrente di montagna, seguendo i flussi di coscienza come la sua fonte di ispirazione, Dylan Thomas, da cui prese il cognome – ha spiegato Maniscalco -. Dylan è stata una delle forze motrici che mi ha fatto appassionare alla lingua inglese, ascoltavo la sua musica con il grande desiderio di capire cosa stesse dicendo». L’incontro tra Maniscalco e il menestrello del rock è avvenuto per caso, «sfogliando le riviste di mamma», ma è stato «fatale».

Tra i temi più comuni nei testi di Dylan ci sono il passare del tempo e l’amore che svanisce, «tema affrontato con tenerezza e amarezza, mai in maniera dolciastra», ma c’è un fattore che più di altri domina gli anni Sessanta: «Dylan, suo malgrado, divenne il simbolo della protesta giovanile americana, con brani come “Masters of war” e “A hard rain’s gonna fall”, scritta durante la crisi di Cuba, con immagini apocalittiche e parole dure – ha spiegato Maniscalco -. La seconda guerra mondiale è finita da nemmeno vent’anni, l’Olocausto è una piaga sanguinante, la guerra del Vietnam è appena cominciata, la Guerra fredda comincia e far tremare il mondo: lui, poco più che ragazzino, ondeggia tra i grandi problemi del mondo e quelli di un essere umano giovane. Il cammino poetico e musicale di Dylan è il tentativo di ricomporre la divisione tra testa e cuore che affliggeva i giovani».

Le canzoni di Dylan non nascono per caso, i riferimenti sono infiniti: «Le Metamorfosi di Ovidio, la lettura della crudeltà umana di cui scriveva Tucidide, la Guerra civile americana, la poesia allucinata di Coleridge, con un grande fondale come l’Antico testamento, la fonte principe di poesia e rapporto con il mistero – ha raccontato lo scrittore -. Ha sempre cercato di confondere le aspettative, non ha mai smesso di cercare e ha sempre pagato sulla sua pelle i cambiamenti». «Rainy day women» parla proprio di questo: qualunque cosa si faccia, «ti tirano le pietre», rispose Dylan. «Dylan non è mai stato commerciale – ha notato Maniscalco -. Abbandona la musica di protesta e punta tutto sul trascorrere del tempo e sull’amore che svanisce». Per otto anni sparirà dalle scene, si ritira in campagna ascoltando e scrivendo blues, country e «emergono in maniera carnale le immagini bibliche. Dylan da 25 anni porta avanti il «Never ending tour»: «La sua grande certezza è che non si può smettere di cercare», ha concluso lo scrittore.

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