Ruggeri il suo
Mistero con la
banda di Adro

di Elia Zupelli

Nessuno scambio d’identità, niente lavaggio del cervello: è lui, il mitico Rock'n'Rouge, punk prima di te, quello che cantava «Sepolto vivo», «A disagio» e «Lsd Flash». Schegge impazzite dal pianeta Decibel, mai così attuali come in questo 2017 della grande reunion, che ieri pomeriggio il cantautore milanese ha momentaneamente anestetizzato quanto a impulsi anarchici e generazionali privilegiando tonalità confidenziali e pre-natalizie, in linea con lo spirito della gran festa in musica al Teatro Mucchetti. Ad Adro a contrappuntare l’inconfondibile timbro di Ruggeri non c’erano i vecchi compagni di scorribande new-wave con cui tornerà all’Ariston (dando seguito alla mitologica apparizione nel Sanremo 1980 con l’ancor più mitologica «Contessa»), ma la banda Giacomo Puccini di Adro, ensemble diretto da Costanzo Manza e composto da 80 musicisti di ampi orizzonti, ispirati e camaleontici, gasati all’idea di sperimentare nuove commistioni e nuovi miscugli fra le arti. Oltre le convenzioni, oltre le barriere di genere, oltre tutto ciò che è vecchio, impolverato o ingabbiato. Manna dal cielo per Ruggeri, abile a distillare questa naturale vocazione plasmando un'esibizione inedita e sorprendente, benché al contempo popolare e di facile lettura come giusto che fosse (e infatti il teatro era zeppo): grazie anche al millimetrico lavoro dello stesso Costanzo Gatta a tracciare la rotta in cabina di regia, i ragazzi hanno virato l'attitudine bandistica verso latitudini pop-rock, riarrangiando i brani a immagine e somiglianza del Ruggeri-style. Repertorio trasversale, con un debole per i grandi classici. Anche se nella prima parte di set sono scivolati via in scioltezza brani come «Gli occhi del musicista», «I dubbi dell’amore» e «Primavera a Sarajevo», un benvenuto al pubblico per nulla scontato o piacione; degno preludio ai punti esclamativi che sarebbero arrivati di lì a poco, su tutti «Contessa» e «Mistero», serbate per l’acme finale. Nel mezzo il Rouge s’è concesso un poetico divertissement accompagnato da un filo di piano: da «Peter Pan» al «Mare d’inverno» che per Loredana fu inquieto, tempestoso e stupendo, a «Quello che le donne non dicono» (stavolta con pensiero dedicato alla Mannoia che la consacrò proprio all’Ariston) e che ieri invece - dolcemente complicate, sempre più emozionate - non solo hanno detto ma anche cantato in coro straziante, appassionato e solidale. Meritatissimo bagno di applausi a un progetto coraggioso. Fra benedizioni istituzionali, baci e abbracci, ecco il sospirato momento degli auguri di buon Natale e buon anno, per un 2018 da vivere col cuore in gola, sempre oltre il livello di Decibel consentito dai noiosoni che vorrebbero imporre il silenzio a questo mondo troppo grigio.

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