I bresciani
in fuga dal caos
del Venezuela

di Valerio Morabito
I supermercati di Caracas sono stati saccheggiati durante la crisi
I supermercati di Caracas sono stati saccheggiati durante la crisi
I supermercati di Caracas sono stati saccheggiati durante la crisi
I supermercati di Caracas sono stati saccheggiati durante la crisi

Valerio Morabito «Non so come andrà a finire: di sicuro che resti al potere Nicolas Maduro o prevalga l’oppositore Juan Guaidò il Venezuela dovrà ripartire da macerie sociali ed economiche». Elide Garavani è da pochi giorni rientrata in Italia chiudendo temporaneamente la sua attività di merceria a Maracay. «Mio figlio, ingegnere minerario, ha dovuto restare, e anche io spero di tornare in Venezuela dove mi sono trasferita con la famiglia quando ero una ragazzina», racconta la 63enne nata a Brescia e che attualmente ha trovato ospitalità da parenti a Desenzano. Lei è una dei 1050 bresciani che vivono in Venezuela. Un segmento dei 6 milioni di italiani tra prima, seconda e terza generazione. «La comunità italiana è tenuta in grande considerazione dai politici venezuelani, perché oltre a detenere aziende e attività commerciali, ricopre incarichi di spicco nelle municipalità», racconta Elide Garavani. Ecco spiegata la corsa di Maduro e Guaidò ad accaparrarsi la legittimazione dallo Stato italiano.

LA SITUAZIONE - conferma la commerciante bresciana - è diventata drammatica. Scarseggiano cibo e medicine e l’inflazione oltre il 1500%. E a questo si aggiungono proteste di piazza, saccheggi di commerci e camion che trasportano prodotti alimentari, e ora anche disperati che fuggono dal paese con imbarcazioni di fortuna. Luciano Volante, 56enne di Valera, si è lasciato alle spalle l’inferno per tornare a Montichiari. «Ho deciso di abbandonare il mio Paese dopo la svolta autoritaria di Hugo Chavez. Oggi, purtroppo, i fatti mi hanno dato ragione». Luciano Volante è figlio di italiani che nella seconda metà del Novecento si sono trasferiti in Venezuela. Una famiglia che ha creato la propria fortuna in Sudamerica. «Mio padre ha aperto una fabbrica che produce frigoriferi industriali. Adesso se ne occupa mio fratello, ma da diverso tempo non può più lavorare». Non arriva più la materia prima, ovvero l'acciaio, e dunque i familiari di Luciano Volante devono andare avanti con dei lavoretti o classici espedienti. «Sono stato a Valera e l'ho trovata cambiata, ma in peggio. In generale il Venezuela è irriconoscibile. Così non mi sorprendo se mio fratello deve trascorrere le giornate in cerca di cibo. Per fortuna, fino ad oggi, non hanno avuto bisogno di medicinali ed io continuo a pregare Dio affinché mantenga in salute anche mia madre».

VOLANTE AMMETTE: «La situazione che si è venuta a creare in Venezuela è deprimente per noi che abbiamo conosciuto la democrazia in quel Paese. Certo, era migliorabile ma questo regime ha distrutto il sistema produttivo, ha accantonato il principio di libertà». Sta di fatto che la famiglia di Volante, come quella di Sandra Maria Facin, originaria del Veneto ma residente da una vita in Venezuela e approdata a Brescia per amore, inviano con costanza dei bonifici ai propri familiari. Nessuna cifra esagerata, circa 100 euro, ma è un modo per mostrare vicinanza ai propri cari che ogni giorno sono costretti a convivere con la fame e l'incertezza politica che ha gettato il Paese nella confusione. «Purtroppo i miei familiari non possono venire in Italia e lasciare le loro proprietà - conclude Luciano Volante - perché altrimenti se ne impossesserebbe il regime».

Suggerimenti