Referendum
sull’acqua: in 970
mila al voto

di Cinzia Reboni

Il futuro dell’acqua è ora nelle mani dei cittadini. Domenica 970 mila bresciani saranno chiamati alle urne per il referendum consultivo sull’«oro blu». Per affidare la gestione del ciclo idrico a una società totalmente pubblica bisogna votare «sì». Con il «no» si apre invece la strada a un sistema misto aperto al contributo dei privati. La consultazione popolare di Brescia è un modello nazionale, nel senso che è il primo referendum sull’acqua locale promosso dopo quello nazionale del 2011. Il complesso iter è idealmente partito il 9 ottobre 2016 quando l’assemblea dei sindaci - con 96 voti a favore, 38 contrari e 10 astenuti - ha approvato la nascita di Acque Bresciane, gestore del servizio idrico integrato (acquedotto, depurazione, fognature) dell’intero territorio bresciano. Un gestore di natura «mista» - nel quale nel frattempo sono confluite anche Aob2, Garda Uno e Sirmione Servizi -, al momento totalmente pubblico, ma aperto all’ingresso di un operatore privato, per una quota variabile dal 40 al 49%.

PER CONTRASTARE la decisione della Provincia di affidare il servizio fino al 2045 in gestione «mista», il 22 marzo 2017 si costituisce il Comitato Acqua Pubblica, che deposita ufficialmente il quesito referendario ottenendo il «pass» della Commissione di garanzia sull’ammissibilità della consultazione. Nel frattempo, 55 Consigli comunali, in rappresentanza di oltre 300 mila cittadini, deliberano a favore del referendum consultivo. Manca solo la data per la chiamata alle urne. Dopo un primo tentativo di accorpare la consultazione referendaria alle politiche del 4 marzo 2018 - soprattutto per una questione di contenimento costi -, bocciata dal ministero dell’Interno, la scelta cade sul 28 ottobre, ed infine sul 18 novembre. Intanto, il termine per l’avvio della gara per la cessione ad un privato della quota della società Acque Bresciane - inizialmente previsto entro il 31 dicembre - resta congelato. Se domenica vinceranno i «sì» la gara per l’ingresso di un socio privato verrebbe annullata, con la prevalenza del «no» rimarrebbe in campo la società mista pubblico-privata. Ed è proprio su questo aspetto che negli ultimi mesi si è scatenata la «guerra dell’acqua». Detto che l’eventuale gara per la quota privata di Acque Bresciane sarebbe aperta a tutte le società, non si può trascurare il fatto che nel Bresciano attualmente sono 95 i Comuni gestiti da A2A Ciclo Idrico e da Asvt, e quindi il servizio non è ancora passato ad Acque Bresciane, che già oggi conta 89 paesi della provincia. Ciò avverrà solo alla scadenza delle concessioni, diversificate dal 2019 al 2032. Con l’assetto «misto», A2A potrebbe concorrere alla gara per il servizio idrico e continuare ad operare nel Bresciano. Se invece passasse la tesi dei comitati referendari, l’utility e tutti i privati non potranno «mai più» partecipare alla gestione di acquedotti, fognature e depuratori. Nei prossimi trent’anni nel Bresciano l’Autorità provinciale ha previsto investimenti per 1,4 miliardi di euro: 800 milioni sul fronte depurazione, poco più di 600 per gli acquedotti. Sia che si tratti di gestione privata o pubblica, entrambi dovranno recuperare i fondi sulla bolletta. Con una differenza: la società pubblica reinveste gli utili al proprio interno, il privato ha degli azionisti da ricompensare.

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