Beffa di Buccari? Una bufala
raccontata da D’Annunzio

La beffa di Buccari non fu una incursione militare contro il naviglio austro-ungarico nella baia di Buccari (in croato Bakar), compiuta da una flottiglia della Regia Marina su Mas nella notte tra 10 e 11 febbraio 1918, durante la prima guerra mondiale, in cui i siluri italiani andarono a segno e ci fu una esplosione. Questo racconto, fatto da Gabriele D’Annunzio, testimone dell’impresa (un anno prima di occupare Fiume), nei volantini che lanciò per l’occasione sarebbe un «fake», una bufala.

Lo sostiene nel suo ultimo libro «Disertori in Adriatico» (Hammerle Editori, pp. 329, 18 euro) lo scrittore Giacomo Scotti, esperto della prima guerra mondiale e profondo conoscitore dell’area: dei sei siluri sparati nessuno esplose, uno solo colpì una nave. Non solo: nella riparata baia di Buccari non c’era nemmeno una nave militare austriaca, come aveva rilevato un ricognitore, ma solo vecchie carrette del mare in disarmo. Insomma, un insuccesso totale. Che il Poeta, però fece passare per una missione importante e riuscita.

È uno dei tanti episodi del volume che si presenta come «pagine sconosciute della Grande Guerra». Scotti, nato a Saviano (Napoli) nel 1928, autore di oltre 130 libri tra saggi, romanzi e racconti, torna di nuovo a sorprendere, come ha sempre fatto. «Cittadino italiano e croato, residente a Trieste ma soggiornante a Fiume», ha svelato in Italia nel 1989 Goli Otok, l’isola-lager dove tanti italiani andati in Jugoslavia per coronare l’ideale comunista morirono in condizioni terribili.

Ma ha anche fatto conoscere Quasimodo oltre confine, la poesia, la letteratura italiana in Macedonia, Slovenia, Serbia, Croazia. Uno scambio continuo con antologie bosniache, macedoni. «La letteratura macedone era considerata poesia dialettale», spiega Scotti. Poi, dopo aver scritto dei «mali della guerra sono stato perseguitato in Croazia, ho subito un attentato: avevo raccontato i crimini di serbi e croati. Ho costruito ponti ma sono stato uno zingaro ficcanaso, un uomo scomodo», racconta oggi di se.

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