Ritratti

Giordano Bruno Guerri: «Il Vittoriale e i libri sono come miei figli Aver cambiato l'immagine di d'Annunzio la rivoluzione di cui vado orgoglioso»

di Gian Paolo Laffranchi
Presidente del Vittoriale degli Italiani dal 2008 - Giordano Bruno Guerri ha 73 anni (RENZO CHIESA)
Presidente del Vittoriale degli Italiani dal 2008 - Giordano Bruno Guerri ha 73 anni (RENZO CHIESA)
Presidente del Vittoriale degli Italiani dal 2008 - Giordano Bruno Guerri ha 73 anni (RENZO CHIESA)
Presidente del Vittoriale degli Italiani dal 2008 - Giordano Bruno Guerri ha 73 anni (RENZO CHIESA)

Penso, dunque scrivo. Il cogito ergo sum di Giordano Bruno Guerri: collezionista di successi editoriali e premi letterari, presidente del Vittoriale a Gardone Riviera e del MuSa a Salò, fondatore di Garda Musei. Sul lago ha edificato il suo concetto di cultura aperto a tutti nelle sue declinazioni, assecondando un’attitudine che lo accompagna da quand’era bambino a Monticiano.
«Ho lasciato la provincia senese per arrivare in Lombardia a 14 anni - ricorda -. I miei, prima contadini e poi commercianti, avevano trovato lavoro come operai in una fabbrica di cotone a Ospiate, territorio di Bollate».

Cosa sognava allora?
Come tutti i bambini avrei potuto dedicarmi al calcio, ma ho scoperto la lettura. Ogni soldo che avevo lo usavo per comprare libri.

Cosa leggeva?
Di tutto. I gialli che amava mio padre, Grand Hotel che leggeva mia madre. Andavo all’oratorio e prendevo i libri che trovavo.

Cosa voleva fare da grande?
Il pilota d’aereo. E lo scrittore, soprattutto.

Ci è riuscito, dopo la laurea in Lettere Moderne. Anni Sessantotto e dintorni.
Ero un sessantottino, certo. Da cane sciolto, ma lo sono ancora in pieno. Mi iscrissi alla Cattolica per potermi laureare più in fretta rispetto alla Statale che era sempre occupata: studente lavoratore, mi mantenevo correggendo bozze. Collaboravo con tutte le case editrici, la mia prima pubblicazione è un manuale per correttori e revisori ancora in uso: «Norme grafiche e redazionali», per Bompiani.

Giovane giornalista, subito opinionista per il Giornale di Montanelli.
Non ero poi così giovane, avevo 34 anni.

Per i parametri italiani giovanissimo.
Già. La svolta arrivò l’anno dopo, nell’85, con il successo del saggio sulla vera storia di Santa Maria Goretti, per Mondadori. Il resto arrivò di conseguenza: a 36 anni fui nominato direttore di Storia Illustrata e poi direttore editoriale della Mondadori.

Aveva portato le vendite del mensile da 60mila a 150mila copie.
Mi sentivo come Rocky sul ring: uno-due uno-due, tutti i colpi bene a segno.

Dopo un’esperienza a New York il ritorno in Italia si materializzò sotto le insegne della Rai. «Italia mia benché», dal ’95 al ’97, resta nei ricordi di una generazione per l’approccio rivoluzionario alla conduzione.
Incredibile, continuo a incontrare 40-50enni che mi dicono che uscivano di corsa dal liceo o dall’università per vedere la trasmissione.

Era qualcosa di mai visto sulla televisione di Stato. Un po’ come quando Raffaella Carrà si presentò a Canzonissima con l’ombelico scoperto.
Mi piace il paragone con l’ombelico della Carrà. Il concetto è lo stesso, seppur in ambiti diversi. Mi avevano messo davanti a una telecamera e mi chiesi «Ora che faccio?». Era una novità.

Che risposta si diede?
«Faccio come mi viene». Ringrazio la regìa attenta di Marilena Fogliatti, che capì le potenzialità di un approccio diverso. Durante le prove prima del debutto erano state disposte le luci, come usa negli studi televisivi: «Tu puoi stare qui e lì, dov’è illuminato». Dopo 2 giorni fu chiaro che dovevano illuminare tutto, perché io non stavo mai dove volevano. La regista anziché rimproverarmi mi disse «Ho capito, fa’ come ti pare».

Dopo aver diretto L’Indipendente, la prima presidenza. Anche qui come in tv, cultura in senso lato.
Cultura tecnologica: la Fondazione Ugo Bordoni distribuiva le antenne televisive, faceva codici per i servizi segreti. Ero un ponte fra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica. A quel punto, vent’anni fa, ho fatto la cosa più importante e meno conosciuta della mia vita: ho fondato il ForumTal.

Il Trattamento Automatico della Lingua.
Sì, la tecnologia che insegna alle macchine a comprendere, parlare e scrivere l’italiano. Il navigatore dell’auto, il telefonino che corregge la parola sbagliata, il traduttore di Google: la nostra quotidianità e il nostro futuro, perché potremo parlare in italiano a un cinese che risponderà nella sua lingua e ci capiremo, come nei film di fantascienza. Quando abbiamo cominciato il nostro Tal era rozzo, ora è fra i migliori del mondo. Le lingue prive di Tal sono destinate a scomparire; l’italiano no.

Sedicesimo anno da presidente del Vittoriale, decimo da direttore generale. Cosa conosceva del Garda prima di assumere l’incarico?
Con il lago avevo un rapporto da milanese. Ma conoscevo bene il Vittoriale. Ci sono stato in tutte le vesti: studente, visitatore, giornalista, convegnista, presentatore di libri, seduttore, cazzeggiatore.

Fra le tappe della sua presidenza, oltre all’aumento sensibile dei visitatori: l’acquisizione di documenti, i restauri e la riapertura di tutto il parco, le opere e gli eventi, il Festival Tener-A-Mente. Sulla figura d Gabriele d’Annunzio è stato anche fatto un film, «Il cattivo poeta», con Sergio Castellitto. Di cosa va più fiero?
Aver cambiato l’immagine di d’Annunzio è stata l’impresa più audace e complessa, più difficile di risistemare il Vittoriale rendendolo un luogo attraente. Per questo bastava un buon manager, ma per ritrarre il poeta in una luce diversa, più autentica, serviva uno storico. Una rivoluzione di cui vado fiero.

Parola d’ordine della sua presidenza?
Fare rete. Con One Garda Ticket abbiamo connesso le eccellenze del territorio attraverso un solo biglietto: il Comune di Mantova ha aderito con tutti i suoi musei. C’è un sistema di bigliettazione unica sempre online.

Il 2024 vedrà sbocciare l’alleanza con Brescia Musei.
Sì. In agosto abbiamo sottoscritto un accordo con Francesca Bazoli e Stefano Karadjov per lo sconto dei biglietti, poi insieme abbiamo deciso che il Vittoriale organizzerà, tra aprile e maggio, la mostra di fotografie progettata con Renato Corsini nell’ambito del Brescia Photo Festival.

Cosa sogna adesso?
Voglio vedere i miei figli di 12 e 17 anni crescere sani, felici e realizzati. Ma sono figli miei anche il Vittoriale e il libro che sto scrivendo. Non ho passato giorno senza un libro da scrivere.

E da leggere? Il suo libro da isola deserta?
«L’uomo senza qualità» di Musil.

Il prezzo della popolarità? È mai stato corteggiato eccessivamente?
Sì, tanti anni fa: inondato di ritratti di ogni tipo, foto, dipinti, collage, ritagli. Era diventato un incubo.

Chi è oggi Giordano Bruno Guerri?
Scrivo. Questo faccio, questo sono.

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