«Il male oscuro», l’arte di raccontare lacerazioni

Giuseppe Berto (1914-1978)
Giuseppe Berto (1914-1978)
Giuseppe Berto (1914-1978)
Giuseppe Berto (1914-1978)

Il rapporto difficile con il padre, il complesso di Edipo, il bulimico desiderio di gloria precipitano il protagonista de «Il male oscuro» nel senso di colpa. In questo romanzo pubblicato nel 1964, Giuseppe Berto sfida l’oscurità come tecnica narrativa e prospettiva conoscitiva. Le diverse istanze – la scrittura, la paura del male e la cura, l’eros misogino – non si conciliano e anzi producono lacerazioni sempre più profonde. Fino al conclusivo isolamento, che sfata il clima di un’epoca, gli ideali di progresso, la meccanica dell’ascesa sociale. L’aspirazione alla gloria letteraria resta insoddisfatta, l’ambizione di rivaleggiare con quelli che il protagonista chiama i «radicali di successo» viene frustrata. Ma la frustrazione diventa una risorsa, permettendo al narratore di dipingere con la tinta del suo amaro umorismo la società culturale romana. In quella frustrazione si sconta anche la convinta militanza giovanile dell’autore dalla parte sbagliata. Ma il sentimento è elevato a stile e assunto come visione del mondo. Un romanzo in cui la narrazione diventa racconto di una nevrosi che incrocia una psicosi. È un libro di peculiare importanza e di miglior tenuta rispetto ad altre opere sperimentali degli stessi anni. Almeno due i motivi. Il primo è la rappresentazione di «un tempo in cui tutto va per via di amicizie e raccomandazioni», tentati in pari misura dalla rivolta e dalla rinuncia; oppressi e attratti da estinti modelli paterni, imbarazzati dal futuro (come il protagonista dinanzi alla figlia cresciuta). Il secondo è la scrittura, fatta per raccontare la realtà di tutti, attraverso il sentire patologico di un individuo che parla sempre di sé – è vero – ma lo fa reagendo alle ossessioni di un’intera società.

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