None

Una cura per il «santo soccorritore» Onorio

di Riccardo Bartoletti
RESTAURI. Un intervento finanziato dal Credito Bergamasco e voluto dal parroco don Armando Nolli ha riportato all'antico splendore la tela ospitata in San Faustino
Il vescovo bresciano del VI secolo è particolarmente legato alla basilica dei Patroni in quanto promosse la costruzione di Santa Maria in Silva, alla base dell'attuale edificio
La tela di SantOnorio esposta in San Faustino
La tela di SantOnorio esposta in San Faustino
La tela di SantOnorio esposta in San Faustino
La tela di SantOnorio esposta in San Faustino

Il nome di Sant'Onorio, vescovo bresciano vissuto nella seconda metà del VI secolo, è strettamente legato alla basilica dei Santi patroni a Brescia in quanto promosse la costruzione dell'antica chiesa di Santa Maria in Silva su cui sarebbe stato eretto l'attuale edificio aggiungendo inoltre un monastero maschile per ospitare i membri del clero, primitivo nucleo della struttura benedettina. Del santo si è conservata imperitura memoria all'interno dell'edificio, sebbene le trasformazioni architettoniche abbiano costretto il suo altare a frequenti e inevitabili traslochi. Nell'originaria sistemazione infatti Onorio era venerato nella chiesa sotterranea, scomparsa in seguito all'abbassamento del coro; un nuovo altare fu quindi eretto sul lato meridionale della basilica. Infine nel quinto decennio del Seicento l'altare ottenne una stabile sistemazione nella cappella in capo alla navata destra e al suo arredo provvide la nobile famiglia Calini che ne aveva assunto il patronato dal 1622 con diritto di sepoltura. In particolare Rutilio e il figlio Vincenzo si occuparono di arricchire e portare a compimento l'arredo lapideo e pittorico e il 25 marzo del 1646 avvenne la cerimonia di consacrazione. Nel 1949 la cappella subì un'ulteriore trasformazione per ospitare il fonte battesimale, così, oltre ad essere ampliata, fu svuotata del suo altare, mentre l'urna con le reliquie di Sant'Onorio si sistemò nella cappella del Crocifisso. Solo la pala del santo mantenne l'antica ubicazione. Proprio questo dipinto è stato oggetto di un accurato restauro presentato dal parroco Don Armando Nolli alla fine del mese di aprile scorso. L'intervento è stato sostenuto dal Credito Bergamasco, area Brescia, sensibile e partecipe attore in iniziative di conservazione e recupero di opere artistiche locali, con la presenza del direttore di area Giovanni Giroldi La tela (databile 1646 ca.) è l'unica testimonianza iconografica del culto di Onorio in questa basilica, dopo il trasferimento a fine Ottocento presso i Civici Musei del quattrocentesco polittico marmoreo raffigurante il vescovo fra i Santi Faustino e Giovita, ora nella sezione veneta del Museo di Santa Giulia. Il dipinto (olio su tela, di centimetri 350 x 185), opera di Bernardino Gandino (1589-1651), figlio del più noto Antonio, rappresenta Onorio in abiti episcopali, circondato da una cortina di nubi e da angeli, rivolto con gesto benedicente ad alcuni membri della famiglia Calini, probabilmente Vincenzo con la moglie e la madre alle sue spalle e il figlioletto in primo piano. A destra la presenza di alcuni devoti, tutti con il capo fasciato, testimonia chiaramente il motivo dell'inveterata devozione, tutta bresciana, a questo santo. Onorio è infatti invocato contro l'emicrania e, più in generale, contro i cattivi pensieri che affliggono la testa, come l'astio, l'invidia, l'antipatia e ciò si riconduce al fatto che il suo cranio appare fratturato. Tale culto ancora oggi è assai sentito, rinnovandosi particolarmente nel giorno dei santi patroni quando una lunga processione di fedeli si reca all'altare in fondo alla navata di sinistra, dove sono state trasferite le spoglie del santo, per infilare la testa in uno dei due pertugi ai lati della mensa. I toni plumbei e chiaroscurati del primo piano, conformi alla tecnica pittorica del Gandino e debitori di Palma il Giovane, vengono meno nello sfondo paesaggistico al centro del quale, in basso, è adagiata una costruzione architettonica forse identificabile con l'antico complesso di Santa Maria in Silva, mentre l'altura e l'edificio sopra di essa richiamerebbero rispettivamente il Cidneo e il Castello, sebbene non vi sia riscontro nelle fonti. Il restauro, condotto da Alba Tullo e durato circa due mesi, ha interessato il recupero e consolidamento della tela, compromessa da una vecchia rifoderatura fatta aderire con uno spesso e dannoso strato di colla e perciò rimossa come tutte le toppe e le stuccature applicate in precedenza. La pellicola pittorica «aggredita» da ridipinture e da una vernice di restauro che ne avevano fortemente alterato e ossidato le cromie è stata sottoposta ad attenta pulitura così da rendere nuovamente leggibili le fisionomie così precise dei volti e la fine resa delle stoffe (l'opera è un prezioso documento della coeva moda vestimentaria). Il dipinto è stato montato su un nuovo e adeguato telaio ligneo, mentre si è mantenuta la cornice dorata sul cui profilo, in corrispondenza della centina, si notano due interruzioni per ricordare che, nell'originaria collocazione dell'opera, lì andavano a sovrapporsi i capitelli dell'antica soasa in cui essa era inserita. Dal restauro, sottolinea la Tullo, è emersa infine una tecnica lavorativa propria del Gandino, cioè l'uso di una tela dal filato molto grosso e, al contempo, la stesura di un colore molto diluito nel medio legante (l'olio). Il santo che per tanti secoli è venuto in soccorso dei suoi fedeli, ha finalmente ottenuto la sua cura.

Suggerimenti