VEZZOLI: «LA MIA METAMORFOSI»

di Fiorenza Bonetti
William Vezzoli, classe 1954, nel suo studio: il pittore di Sarezzo descrive le sue opere e la sua filosofiaIl proposito forte e chiaro maturato di recenteL’artista valtrumplino impegnato a fare sirsasana
William Vezzoli, classe 1954, nel suo studio: il pittore di Sarezzo descrive le sue opere e la sua filosofiaIl proposito forte e chiaro maturato di recenteL’artista valtrumplino impegnato a fare sirsasana
William Vezzoli, classe 1954, nel suo studio: il pittore di Sarezzo descrive le sue opere e la sua filosofiaIl proposito forte e chiaro maturato di recenteL’artista valtrumplino impegnato a fare sirsasana
William Vezzoli, classe 1954, nel suo studio: il pittore di Sarezzo descrive le sue opere e la sua filosofiaIl proposito forte e chiaro maturato di recenteL’artista valtrumplino impegnato a fare sirsasana

Attraversando il giardino ripido e all’orientale che ti accoglie, aprono la porta un soffio di trementina e un abbraccio di patchouli. Un cono d’incenso brucia sul retro della casa che da sempre lo ospita assieme alla sua famiglia, dimensione terrestre e spirituale, radici e ali dell’esistenza e dell’arte. William Vezzoli, pittore saretino, riavvolge il nastro sul suo lungo viaggio trascorso, proprio come in un vagone affollato di anime, in piedi, davanti ad una tela. Datare l’insorgere dell’esigenza espressiva è impossibile, ma non fissarne la prima tappa. «Avevo dieci anni – descrive -. Partecipai e vinsi un concorso scolastico, rappresentai la Resistenza: la fucilazione di un partigiano, sotto agli occhi atterriti di un prete». IL PREMIO FURONO 25 mila lire di libri, trasportati faticosamente sulla Lambretta con il padre. Fede, empatia e spiritualità hanno fatto capolino in quel bambino senza più lasciarlo. Migliaia di chilometri, spesso percorsi all’interno della propria casa, in quel suo laboratorio creativo all’ultimo piano, con i lucernari che inquadrano le montagne. Distanze che Vezzoli ha percorso nella ricerca del suo io immerso nelle sfaccettature emotive e sensoriali della sua anima. Vezzoli è esponente di un’arte astratta e aniconica – come definita dal critico d’arte Andrea Barretta nella pubblicazione a lui dedicata e depositata al MoMA di New York -, con protagonisti i colori primari e le vite trascorse di materiali diversi, in continua metamorfosi. Vecchie lenzuola, schegge di bronzo, chiodi antichi, legni, lamiere impiegate dal tempo e un’inesauribile miniera di oggetti parlanti sono lo strumento con cui William Vezzoli interpreta il suo mondo interiore. Un punto di vista diverso che ricerca ogni giorno quando punta i piedi all’aria e, riproducendo sirsasana – la «posizione sulla testa», tra le principali inversioni dell’universo dello yoga -, spegne i suoi sensi nella ricerca continua di un altro dove. «LA MIA METAMORFOSI artistica è stata uno degli effetti più sorprendenti del mio avvicinamento allo yoga, iniziato nel 2000 – descrive l’artista -. Come la maggior parte dei praticanti, mi sono approcciato per cercare soluzioni a problemi fisici, ma non avevo idea che avrei trovato anche ben altre ragioni». Per decenni interprete di un’arte figurativa tradizionale, la ricerca iniziata con la disciplina orientale lo ha portato a scoprire la sua reale dimensione. «La consapevolezza di sé a cui ti instrada lo yoga mi ha silenziosamente portato a conquistare questo spazio espressivo, finalmente mio – descrive Vezzoli -. La tranquillità, la sensibilità e la concentrazione su un’introspettiva accettazione che esercito con la pratica quotidiana mi hanno dato il coraggio di abbandonare quella che fu una zona di comodo, ma non di comfort». Un’ancora tirata a secco per dirigersi verso un mare ignoto. «Ho trovato il modo per continuare a cercarmi – conclude Vezzoli -. Mi sono avvicinato a me stesso, ad una consapevolezza maggiore che ciò che realizzo può stare, senza aggiunte né sottrazioni». Un’istantanea del qui ed ora di un artista viaggiante. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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