ECONOMIA

Il «made in Bs» senza confini resiste al Covid. Anzi, cresce

Mario Gnutti (Confindustria Bs)
Mario Gnutti (Confindustria Bs)
Mario Gnutti (Confindustria Bs)
Mario Gnutti (Confindustria Bs)

Una conferma ulteriore: nel 2020 le imprese bresciane più internazionalizzate hanno retto meglio l’impatto della pandemia. In particolare, il fatturato realizzato all’estero dalle aziende del territorio, pari in media al 47% del totale, non si è radicalmente modificato rispetto al pre Covid-19. E quest’anno è previsto addirittura un aumento. A evidenziarlo è l’indagine «Internazionalizzazione 2021», curata dal Centro Studi di Confindustria Bs, e realizzata rielaborando, in chiave locale, i dati dello studio regionale condotto da Confindustria Lombardia con il coinvolgimento delle nove territoriali associate. Il campione bresciano comprende 250 società (215 del settore manifatturiero), per un fatturato complessivo di circa 7,1 miliardi di euro (bilanci 2019) e quasi 17.300 dipendenti. In dettaglio l’impatto della pandemia sui ricavi in termini assoluti risulta più marcato rispetto a quello sul business realizzato oltre confine. Per il fatturato estero, nel 2020 il 55% delle imprese rileva una diminuzione sul 2019, il 25% un aumento, il 20% stabilità. Per il volume d’affari complessivo, il 70% delle società evidenzia una riduzione, il 20% una crescita e il 10% nessuna variazione. «I dati dimostrano, una volta di più, quanto l’apertura ai mercati esteri, in particolare attraverso l’export, rappresenti un elemento di successo per le imprese, commenta Mario Gnutti, vicepresidente di Confindustria Brescia con delega all’Internazionalizzazione. Gnutti, quindi, assicura che Confindustria Brescia continua il lavoro di apertura oltre confine. «In questo senso - dice -, diventerà sempre più rilevante anche avere una presenza concreta nei mercati più importanti attraverso un approccio “local to local” e di prossimità al cliente». L’impatto della pandemia è stato pesante per gli scambi commerciali targati Brescia: una caduta delle esportazioni del 9,3% nel 2020 su base annua, si è tradotta in una perdita di oltre 1,5 miliardi di euro. Il bilancio, tuttavia, è meno negativo di quello regionale (-10,6%) e nazionale (-9,7%), inoltre, la provincia si è dimostrata reattiva alla ripartenza del commercio mondiale di fine 2020, con una crescita delle vendite all’estero del 5,3% nel quarto trimestre e un ulteriore rimbalzo tra gennaio e marzo di quest’anno (+12,4%). In generale, le imprese bresciane risultano fortemente internazionalizzate: l’80% possiede almeno una modalità di rapporto con l’estero (esportazioni, importazioni, franchising, uffici di rappresentanza, produzione, joint ventures, investitori stranieri). Le esportazioni tramite vendita diretta al cliente finale (67% dei rispondenti) si confermano come modalità prevalente. La presenza diretta all’estero interessa un numero più contenuto di realtà: il 9% per filiali commerciali o negozi direttamente gestiti; l’8% per produzione con proprie sedi e stabilimenti. Tra i canali risulta ancora poco utilizzato l’e-commerce: il 65% delle ditte non è particolarmente attrezzato e non è interessato a farlo; il 16% è attivo con una piattaforma propria, il 15% si sta attrezzando. Lo stop alle fiere internazionali in presenza, causato dal Covid, sembra aver messo in luce l’urgenza di rafforzare i canali di vendita digitale, sia promuovendo una maggiore presenza sulle piattaforme esistenti, sia istituendone di nuove anche di nicchia. Mediamente un’impresa serve 23 Paesi diversi (il numero aumenta al crescere della dimensione), ma la quota di fatturato realizzata solo nel principale Paese estero nel 2020 risulta rilevante (22%), quasi a testimoniare che la pandemia ha rafforzato la tendenza a concentrare gli sforzi di mantenimento della quota di mercato nella’area di sbocco predominante. Dal punto di vista delle vendite, al primo posto risulta la Germania, seguita da Francia, Stati Uniti, Spagna, Regno Unito. Si conferma quindi la scelta di privilegiare i mercati europei più vicini, che consentono di sfruttare al massimo le energie accorciando la filiera. Per le sedi produttive, l’orizzonte si amplia, con una predilezione, tra le medie e grandi aziende, per i mercati più avanzati (Stati Uniti) e, tra le piccole, per quelli meno sviluppati (Polonia). Per le sedi commerciali, al primo posto è ancora la Germania, seguita da Usa, Francia, Regno Unito, Spagna, con una preferenza del partner tedesco diffusa tra tutte le classi dimensionali.•. R.Ec. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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