L’editoriale

Aiuti a Kiev la politica alla prova

di Stefano Valentini

Stefano Valentini Bisogna sostenere ancora l’Ucraina, anche con l’aiuto delle armi. Con una serie di astuzie trasversali fatte di consensi e astensioni, la Camera dei deputati ha approvato l’impegno del governo guidato da Giorgia Meloni ad appoggiare il Paese che da quasi due anni si difende, al costo della vita dei suoi soldati in prima linea e dei civili più volte colpiti in modo brutale, dall’aggressione illegale della Russia. Un voto compatto nella sostanza, ma che ha diviso l’opposizione e in particolare il Partito Democratico: tre deputati, fra i quali spicca il nome dell’ex ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, hanno detto «sì» alle risoluzioni della maggioranza che sono state votate pure da Italia Viva e Azione, mentre il partito di Elly Schlein s’è astenuto su tutto. Sia sul documento approvato di sostegno a Kiev anche «con mezzi materiali ed equipaggiamenti militari», sia sul testo opposto che è stato invece presentato da Movimento 5 Stelle e che chiedeva di bloccare l’invio delle armi. Un pasticcio che Davide Faraone, capogruppo di Italia Viva, ha definito «il solito fritto misto del Partito Democratico sull’Ucraina». Un pasticcio destinato a lasciare il segno.
 

Prima di tutto all’interno dello stesso Partito Democratico, che ha ribaltato la sua strategia di politica estera ed europea, un tempo sempre a fianco di Kiev, come testimonia proprio il voto dell’ex ministro Guerini, espresso «per una questione di coerenza». «Quando ero al governo, ho firmato cinque decreti», ha ricordato. Se ora il Partito Democratico sceglie di non prendere posizione su un tema che definisce l’identità e il rapporto fra i Paesi dell’Unione europea, cioè il diritto-dovere di difendere l’Ucraina, che è anche il cuore geografico del continente, gli effetti si sentiranno presto sulla campagna elettorale. Mai come adesso i partiti e i governi chiamati a essere giudicati dai cittadini in vista del voto di giugno per Strasburgo, dovranno chiarire da che parte stanno: con Zelensky o con Putin, con chi comprende l’enormità e la gravità della posta in gioco per l’intero Occidente o con chi esita? Non esiste una terza via, tantomeno di chi rinuncia a prendere posizione rifugiandosi nell’astensione, di fronte a una simile sfida. Che non a caso vede tutta l’Ue sulla stessa barricata (massimo aiuto a Kiev, anche con le armi), da quando Putin ha scelto di invaderla contro il parere del mondo e del diritto internazionale. L’Ucraina sarà una prova di impegno elettorale e istituzionale ben al di là della destra e della sinistra, riguardando il destino stesso dell’Unione europea. Tant’è, che accanto ai distinguo che non mancano in tutti gli schieramenti di tutti i Paesi, rimane il robusto ancoraggio delle principali «famiglie politiche» - i gruppi popolari, socialisti, verdi, conservatori e liberali - schierate a sostegno di Kiev. Perché l’aggressione di Vladimir Putin, nel frattempo chiamato a rispondere dei suoi crimini dalla Corte Penale Internazionale che ha emesso un mandato di cattura nei suoi confronti, non è materia da giochino parlamentare. Su certi argomenti l’indecisione non è contemplata, né a destra né a sinistra.

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