L’editoriale

Autonomia, la riforma va in coda

di Troise Antonio

L’Autonomia differenziata può attendere. Avrebbe dovuto essere la madre di tutte le riforme, uno dei capisaldi del governo, un pilastro del patto di legislatura del centrodestra. Finisce, invece, agli ultimi posti dell’agenda dei lavori parlamentari della Camera. Prima c’è il decreto sulle agevolazioni fiscali, poi quello sul superbonus e perfino una mozione dei Cinquestelle sul Patto di Stabilità. Solo a questo punto l’Aula di Montecitorio potrà esaminare il testo della riforma Calderoli. Nel frattempo, però, ci saranno state le elezioni europee e, sulla base del verdetto delle urne, si conosceranno anche i nuovi equilibri di forza all’interno della maggioranza. E non è affatto detto che tutto resti così come è oggi. Lo stesso leader della Lega, Matteo Salvini, ha dovuto ammettere che la riforma potrebbe tagliare il traguardo entro l’estate, spiegando che, alla fine, due mesi in più dopo decenni di attesa non sono, poi, un grande problema. Sarà. Ma i dubbi e le preoccupazioni in casa del Carroccio crescono ogni giorno di più. Insieme ai malumori che hanno accompagnato la scelta del “capitano” di candidare come capolista un personaggio estremamente divisivo come il generale Vannacci. Una mossa dettata dalla necessità 

di recuperare consensi ed evitare il sorpasso da parte di Forza Italia. E, probabilmente, dietro la scelta di rinviare l'Autonomia c'è anche la necessità di non perdere i voti conquistati a fatica nel Mezzogiorno per inseguire il disegno di un partito "nazionale" e non solo regionale. Il vero rischio, però, è che ancora una volta la riforma federalista, chiesta a gran voce con tanto di referendum, soprattutto dalle regioni del Nord Est e dall'Emilia, finisca di imboccare un binario morto, perdendo perfino l'aggancio all'altro vagone, quello del premierato, che da oggi dovrebbe andare in discussione al Senato. Al di là delle polemiche politiche sullo "scambio" dei partiti della maggioranza fra le due riforme, forse l'errore più grande è stato quello di aver trasformato l'Autonomia differenziata in una sorta di "bandierina" di partito, puntando più ad incassare un dividendo elettorale che a realizzare un progetto di cambiamento che avrebbe avuto un effetto positivo per tutto il Paese e non solo per il Nord. Un obiettivo che si poteva centrare solo con una strategia di "condivisione" dei contenuti del federalismo e non alimentando polemiche, diffidenze e, soprattutto, divisioni. Ora il destino della riforma è appeso anche al filo dei nuovi equilibri che si determineranno nella maggioranza dopo le europee. Bisognerà vedere fino a che punto, nel centrodestra, il tema della riforma Calderoli tornerà ad essere preminente. E, soprattutto, occorrerà capire se davvero si riuscirà a trovare un punto di intesa sul capitolo principale dell'Autonomia, la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, con un calcolo preciso delle risorse necessari per sostenerli finanziariamente. L'unica certezza, al momento, è che la strada dell'Autonomia è tornata ad essere in salita.

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