L’editoriale

Dal Colle appello all’unità

di Stefano Valentini

Solo un ideologismo fuori dal tempo può trasformare una giornata di festa, il 25 Aprile, in una scusa per insultare e aggredire, sventolando bandiere palestinesi, i discendenti della Brigata Ebraica, cioè proprio del corpo costituito nel 1944 da giovani volontari provenienti dalla Palestina allora sotto mandato britannico, per contribuire alla Liberazione negli ultimi e drammatici due mesi di combattimenti. Il tutto anche dopo la provocazione di chi ha fischiato l’inno di Mameli e di tutti gli italiani. È accaduto, e lo si temeva, nella manifestazione principale di Milano, che ha visto migliaia di cittadini sfilare per una ricorrenza che, quasi 80 anni dopo gli eventi per non dimenticare i quali è nata, dovrebbe unire, anziché dividere. Dovrebbe portare agli abbracci e alla riconoscenza, non all’arresto dei violenti e al rancore. Come sempre, è toccato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricordare perché la giornata di ieri simboleggiava l’opposto di quanto accaduto a Milano (ma molta tensione s’è registrata anche a Roma) per mano della solita minoranza estrema a danno della maggioranza tranquilla, consapevole e d’ogni idea politica dei partecipanti. «Il 25 Aprile è per l’Italia una ricorrenza fondante» ha sottolineato Mattarella da Civitella in Val di Chiana, provincia di Arezzo. Non un luogo qualsiasi, ma dove il 29 giugno del 1944 ebbe luogo la terribile strage nazista che costò la vita a 244 civili. Una data fondante -ha continuato- che rappresenta «la festa della pace, della libertà ritrovata e del ritorno nel novero della nazioni democratiche». È l'anniversario di un autentico nuovo inizio, perché in quel giorno del 1945 finiscono molte cose, e tutte insieme: l'occupazione tedesca, cioè nazista, dell'Italia e il fascismo, la guerra mondiale e la guerra civile. Basta occupazioni, guerre e dittature. Da lì a poco sarebbe stata la Costituzione della Repubblica, nata sull'onda di un referendum istituzionale, ossia secondo il volere del popolo italiano, a certificare la svolta all'insegna della libertà e della democrazia acquisite per sempre. O meglio, acquisite finché ogni generazione sarà capace non solo di ricordare da dove viene («senza memoria non c'è futuro», ancora Mattarella), ma anche di dare valore, e non solo un senso, al patrimonio delle libertà ereditate, vissute e da trasmettere a chi verrà dopo. Ma che cosa può dire, oggi, il 25 aprile a un mondo tanto cambiato e sconvolto? Lo spiegano le parole conclusive dell'intervento di Mattaella: «Oggi, in un tempo di grande preoccupazione, segnato, in Europa e ai suoi confini, da aggressioni, guerre e violenze, confidiamo in quella speranza». La speranza che tutti i popoli in balìa di conflitti e dispotismi possano vivere in pace e riconoscersi in una loro Costituzione democratica, ecco il monito attuale e universale della memoria italiana.

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