L’analisi

I figli e le speranze per il futuro

di Maurizio Tira

La popolazione italiana sta diminuendo, malgrado la vita media si allunghi, per l’evidente riduzione del tasso di natalità. Le previsioni ISTAT al 2080 sono incredibilmente preoccupanti: secondo uno scenario medio, gli italiani saranno poco meno di 46 milioni! Quali le cause ed i possibili rimedi? Ritengo sommessamente che la prima causa per la diminuzione della procreazione sia la riduzione della fiducia e della speranza nel futuro, accompagnate da una oggettiva difficoltà nella gestione famigliare. Non si mette al mondo o comunque non si cresce un figlio o una figlia, se non si ha la speranza che essi avranno la possibilità di realizzarsi ed essere felici. Nello stesso tempo, responsabilmente non si accoglie un figlio o una figlia se non si hanno sufficienti garanzie di poterlo crescere. Nel secondo dopoguerra mondiale la voglia di ripresa era palese, il rapporto tra salari e capacità di acquisto ben maggiore, gli orari di lavoro molto più ridotti. Così, fino alla seconda metà degli anni ’60 il tasso di fertilità è cresciuto, raggiungendo il 2,7%. Contemporaneamente nella maggioranza delle famiglie lavorava fuori casa solo il padre, lasciando le incombenze genitoriali alle madri.

Dal 1964 il tasso di fertilità è calato inesorabilmente fino all’attuale di 1,24 figli per donna. E la politica: l’Italia, un paese governato per molti decenni del dopoguerra da un partito dichiaratamente cristiano, non ha mai seriamente affrontato il sostegno alla famiglia numerosa. Quale esito, da anni le famiglie mononucleari sono il 33%, mentre quelle con 6 o più componenti sono pari all’1,2% (percentuale che «sale» al 5% se si includono le famiglie con 5 componenti), il che si traduce in un peso politico nullo. Fiducia, sostegno economico, equilibrio nella funzione genitoriale, riconoscimento di pari opportunità per la realizzazione professionale delle donne sono solo alcune delle questioni con cui misurarsi. Un sistema fiscale efficiente, fondato sulla tassazione progressiva e la lotta all’evasione e all’elusione, deve incentivare in maniera determinante la genitorialità con il quoziente familiare. Peraltro il problema della conciliazione tra lavoro e famiglia è evidenziato dagli orari di lavoro, molto più estesi di quelli dei nostri padri, spesso con salari inferiori. Il lavoro si cambia molte volte nella vita, fattore in sé potenzialmente positivo, ma ciò costituisce un’ulteriore complicazione per la crescita dei figli. In Italia, l’età media della donna alla prima gravidanza è di 32 anni (la più alta d’Europa), con conseguente diminuzione del tasso di fertilità e quindi della probabilità di avere altri figli. Un ultimo aspetto, solo apparentemente accessorio: i «tempi di vita», oggi spesso inadeguati per una famiglia, e così la struttura urbana che ad essi si lega. Dal 2000 le città con oltre 30.000 abitanti devono redigere un piano dei tempi e degli orari, la cui importanza è stata peraltro riscoperta in epoca Covid (ricordiamo il dibattito sull’ingresso scaglionato nelle scuole). Abbiamo da tempo creato città per adulti sani, che adesso dobbiamo trasformare in luoghi per anziani: approfittiamo di questa congiuntura per recuperare la dimensione urbana per l’infanzia. Le due fragilità dell’inizio e della fine della vita possono essere affrontate in maniera coordinata, se non altro per la comune necessità di cura, di accessibilità e di sicurezza. La capillarità dei servizi, la disponibilità di mezzi di trasporto pubblico, il controllo sociale. Cinquant’anni fa oltre l’80% degli scolari andava a scuola da solo: ora non è più del 10%. Volutamente tralasciando l’importantissimo tema dell’immigrazione e della sua programmazione, meritevole di una riflessione specifica, scevra di pregiudizi e ancestrali chiusure, urge dunque un cambio di mentalità, che va responsabilmente accompagnato con misure economiche improcrastinabili.

Suggerimenti